Da L’Espresso, una riflessione sui rapporti tra banche e squadre di calcio:
“Il modello di riferimento in ambito europeo, soprattutto sotto il profilo marketing, è la Premier league inglese. La massima serie britannica è fortemente indebitata (3,4 miliardi di euro) ma, a differenza dell'Italia, questa situazione è collegata al cambio gestionale in sella ai club (due terzi delle società non sono più in mano ai proprietari inglesi) e, solo in parte, all'acquisizione dei giocatori di grido.
A differenza del mercato tricolore quello del Regno Unito ha messo sul piatto delle banche (tra queste Royal Bank of Scotland è quella più coinvolta nel business del pallone) una serie di asset di assoluto valore. I 20 club di Premier sono tutti titolari degli stadi (in Italia ad aprire le danze sarà la Juventus, ma non prima del luglio 2011), le sponsorizzazioni nonostante il periodo di crisi costituiscono più del 30 per cento delle entrate e il merchandising è una leva in crescita, grazie anche alla diffusione dei marchi all'estero, con particolare attenzione all'Asia e al Medioriente.
In Inghilterra il sistema bancario non ha problemi a investire nel calcio, perché considera i club professionistici come dei veri e propri brand di largo consumo, nel nostro Paese invece gli istituti di credito pagherebbero pur di uscire dal sistema (un caso per tutti Unicredit, che, post fusione, ha ereditato gli "impegni calcistici" di Capitalia), proprio perché non considerano il pallone come un'industria, nonostante il volume di affari della prima divisione sia di 1,4 miliardi di euro.”
martedì 25 agosto 2009
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