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lunedì 17 novembre 2014

Mps: Viola, servirebbe un investitore strategico

 "La mancanza di un investitore strategico - ha detto Fabrizio Viola - rende difficile la condivisione di un percorso con un orizzonte piu' lungo". L'amministratore delegato di MPS ha fatto questa dichiarazione durante un convegno su governance e compliance organizzato dallo studio legale Clifford Chance e da Il Sole 24 Ore.
Viola ha ricordato come la banca senese sia uscita dell'ultimo aumento di capitale con "un capitale molto frazionato e con investitori che se va bene hanno una visione a medio termine". Un potenziale limite per la banca perche' il settore si trova "alla vigilia di una profonda trasformazione come la metallurgia negli anni Ottanta". "La trasformazione - ha aggiunto - implica investitori che abbiano una view non solo da qua a un anno, ma che abbiano un orizzonte temporale per vedere la trasformazione". Quanto tempo serve? "La trasformazione non ha bisogno di decenni, ma di qualche anno".

lunedì 19 maggio 2014

Il grande freddo spinge gli utili delle banche e gli Usa festeggiano

Leggete questo articolo, l'ho trovato su "Repubblica".

Mentre infuria la battaglia sulle restrizione che sta per imporre la Fed sull’impegno delle banche nelle commodity, gli istituti di credito di Wall Street festeggiano profitti record derivanti proprio dal settore delle materie prime. Secondo la società di consulenza Coalition, le prime dieci banche del listino americano avrebbero registrato un incremento del 20% anno su anno nei primi mesi di marzo. A spingere verso l’alto un inverno particolarmente freddo, che ha fatto salire il prezzo della bolletta energetica. Un trend, tuttavia, limitato. Perché a valori assoluti, come ricorda il Financial Times, le prime dieci banche hanno tratto risorse dalle commodity pari a 4,5 miliardi di dollari lo scorso anno, contro i 14,1 del 2008, quando il trading sulle materie prime era ai massimi. A parte elettricità e gas, infatti, il settore dei metalli si tiene basso e anche altre commodity non salgono più di tanto.
L'attenzione è posta rischio che alcuni di questi asset in mano a banche possano incorrere in «catastrofi» come quella della Deepwater Horizon, la piattaforma petrolifera di Bp esplosa nel 2011 Golfo del Messico o il deragliamento di un treno carico di greggio che l'estate scorsa ha ucciso 47 persone in Canada. «Le recenti catastrofi – scrive la Fed – evidenziano che il costo di prevenzione degli incidenti è elevato e che le richieste di indennizzo connesse con attività sui mercati fisici delle commodities possono essere difficili da limitare e più alte del previsto». I senatori democratici spingono affinché la Fed imponga un innalzamento delle assicurazioni e garanzie e un aumento dei costi. In questo scenario alcune grandi banche avevano annunciato la loro intenzione di ritirarsi dal settore. Jp Morgan, per esempio, si è mossa per vendere gli “asset” fisici immagazzinati a Mercuria, una trading house svizzera. E Morgan Stanley sta per vendere parte delle sue operazioni alla russa Rosneft. Deutsche Bank dalla sua sta uscendo da alcuni settori. Il rischio è che a fronte di misure restrittive, le banche si limitino a tagliare quello che rende meno, per concentrarsi sui settori, come energia e gas, più promettenti.

venerdì 4 aprile 2014

Fondi stranieri e finanza italiana, Blackrock scala anche il Banco Popolare

Ecco un estratto di un articolo che ho trovato su Il Fatto Quotidiano:

E’ amore vero tra Blackrock e le banche italiane. Il fondo americano che nelle scorse settimane ha scalato Intesa SanPaolo, Unicredit e il Monte dei Paschi di Siena è salito in testa all’azionariato anche di cui detiene il 6,851%, seguito dagli svizzeri di Ubs che ha il 2,65% dell’istituto veneto.  L’acquisto è avvenuto lunedì 31, giorno in cui la banca nata dalla ceneri della Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani ha varato un aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro che si concluderà il 17 aprile.
La partecipazione è detenuta indirettamente tramite 17 società di gestione del risparmio controllate da Blackrock che ha comunicato l’operazione alla Consob giovedì pomeriggio. La frammentazione delle quote permette al gestore di aggirare il divieto, contenuto nello statuto dell’istituto popolare veronese, di non superare la soglia dell’1% del capitale, pena la perdita del diritto al dividendo e l’obbligo entro un anno di alienare la azioni in eccesso. 
Il gruppo, con casa madre a New York ma attivo attraverso divisioni di tutto il mondo che agiscono anche in modo indipendente, ha oltre 4mila miliardi di asset in gestione e di solito, come nel caso del Banco, fraziona l’investimento in una serie di fondi diversi. A oggi, in base alle comunicazioni rilasciate alla Consob, sappiamo che Blackrock oltre che delle banche ha il 5% di Azimut. Sotto la stessa soglia rilevante il colosso del risparmio Usa si è portato, a metà del mese di marzo, in Telecom. Nel gruppo di tlc aveva una quota del 7,7%, che arrivava al 10% considerando la partecipazione potenziale derivante dalla sottoscrizione del prestito convertendo che la società ha varato prima di Natale. Una fotografia, anche se più sfuocata, è poi quella che deriva dai libri soci e dalla presenza nelle assemblee della scorsa primavera. Blackrock risultava avere una quota del 5% circa in Atlantia, del 4% in Fiat, del 2,8% in Generali.

giovedì 13 febbraio 2014

Draghi: troppi dieci anni per il fondo salva-banche

Guardate cosa leggevo su Il Giornale stamattina...

Dieci anni sono troppi per mettere in piedi il fondo salva-banche, parola di Mario Draghi. Il presidente della Bce, parlando alla Banca centrale del Belgio, ha affermato che i tempi dell'entrata a regime del meccanismo europeo di risoluzione delle crisi bancarie possono essere dimezzati, senza però far pagare alle banche importi più elevati. Una risposta implicita al ministro delle finanze tedesche Wolfgang Schaeuble, favorevole a un'accelerazione dei tempi a patto di un raddoppio del prelievo a carico degli istituti di credito.
Ma al fondo serve anche un solido «paracadute pubblico»: ovvero la possibilità di indebitarsi sul mercato, con garanzie degli Stati, o di accedere a una linea di credito, ad esempio dal fondo salva-Stati Esm, ha sottolineato ancora il presidente della Bce.
L'analisi di Draghi si inserisce in una prospettiva storica: i costi della crisi per l'Europa sono stati alti a causa della natura incompleta dell'integrazione finanziaria dell'Eurozona. Per questo occorre incoraggiare una integrazione transfrontaliera più profonda delle banche, oltre a una supervisione più forte. «Sappiamo a spese nostre che l'eurozona non ha raggiunto un'integrazione finanziaria sostenibile - ha detto - ma con un'unione bancaria possiamo creare le pre-condizioni per un'integrazione più sostenibile in futuro». Tanto più che «con un supervisore bancario unico, i confini non hanno importanza, questioni come la protezione dei campioni nazionali o recinzioni di vigilanza sulla liquidità non saranno più rilevanti», ha concluso il presidente dell'Eurotower.


giovedì 30 gennaio 2014

Lo stress fa strage di banchieri: ritmi eccessivi anche per i "lupi"

La Repubblica ci offre un articolo interessante per quanto riguarda lo stress che può derivare dal duro lavoro, dagli orari massacranti e dalle grandi responabilità che hanno soprattutto i banchieri ma anche, in generale, i bancari, giovani e non.
Riflettete.

LONDRA - C'è troppo stress nella City? La domanda circola da sempre nella cittadella della finanza londinese, dove la competizione è allo spasmo, gli orari di lavoro sono massacranti, la tensione è pari ai formidabili guadagni che si prospettano per banchieri e broker di successo. Ma ora assume toni più angoscianti, dopo la morte nello spazio di pochi giorni di tre "lupi della City", per parafrasare il film di Martin Scorsese sui loro colleghi di Wall street, in circostanze che fanno credere al suicidio.

Martedì un uomo di 39 anni ha perso la vita cadendo, o più probabilmente buttandosi, dal cinquantesimo piano di un grattacielo di Canary Wharf, la "nuova" avveniristica City costruita sulle rive del Tamigi dove si sono trasferite molte banche e società di investimenti. Si chiamava Gabriel Magee, era di cittadinanza americana e lavorava per la J. P. Morgan, dove era vicepresidente del dipartimento di investimenti nelle tecnologie, uno dei settori più avanzati, rischiosi e profittevoli.

Lo stesso giorno la polizia è stata chiamata d'urgenza in una casa di Chelsea, uno dei quartieri più chic di Londra, per l'apparente suicidio di William Broeksmit, 58 anni, anche lui americano, ex-dirigente della Deutsche Bank. In febbraio doveva essere promosso a capo del dipartimento investimenti ad alto rischio, ma la promozione era stata bloccata perché veniva considerato senza la sufficiente esperienza. E la settimana scorsa è deceduto improvvisamente Tim Dickenson, direttore del settore comunicazioni alla banca Swiss Re, ma le cause e le circostanze della sua scomparsa sono state tenute confidenziali.

Tre morti sospette in una settimana nella City di Londra possono essere una coincidenza, oppure il sintomo di un malessere diffuso. Nella capitale britannica, così come in altre capitali della finanza, cresce la preoccupazione per lo stress a cui sono sottoposti i dipendenti, in particolare i giovani appena assunto o in procinto di esserlo. L'estate passata un ragazzo 21enne appena laureato, che stava facendo uno stage alla sede londinese della Bank of America, morì alla sua scrivania in seguito a un attacco di epilessia al termine di una giornata di lavoro di 16 ore. Troppe, secondo molti, ma è noto che le banche pretendono orari stakanovisti dagli stagisti e dai neo-assunti, costretti spesso a lavorare 7 giorni su 7 per mesi, con straordinari che raddoppiano quello che sarebbe un normale orario di lavoro. E sebbene varie banche della City abbiano ora adottato norme interne che vigilano sul troppo lavoro, gli stagisti continuano a fare a gara a chi arriva per primo al lavoro e che se va per ultimo, riportava di recente il Financial Times, consapevoli che uno su dieci viene assunto e che questo tipo di impegno viene solitamente apprezzato e premiato dai superiori.

Ma lo stress raggiunge anche i piani alti della banche. L'anno scorso uno dei senior manager della Barclays, Hector Sants, si è dimesso citando sovraffaticamento e tensione. In agosto Pierre Wauthier, capo finanziario del Zurich Insurance Group, si è tolto la vita dopo aver lasciato un biglietto in cui accusava l'amministratore delegato della società di assicurazioni di avere creato un clima di lavoro insopportabile. E l'ad, Josef Ackermann, si è dimesso pochi giorni dopo, accettando la propria responsabilità.

Il Wall Street Journal, che dedica stamane un ampio servizio al tema, riporta che recentemente alcune banche della City, come la Credit Suisse, la Merril Lynch e la Bank of America, hanno introdotto misure per diminuire il numero dei week-end che i dipendenti più giovani passano sul posto di lavoro. Ma basterà per ridurre lo stress e scongiurare i suicidi nella capitale della finanza mondiale?


mercoledì 22 gennaio 2014

Bonifico, ma quanto mi costi? Ecco come evitare brutte sorprese

Il Sole 24 Ore prova a dare alcuni consigli e avvertenze per quanto riguarda i bonifici bancari. 

L'indagine condotta da Plus24 sui costi dei conti correnti, pubblicata sabato 18 gennaio, evidenzia che quando un correntista chiede «Quanto mi costa un bonifico?», la risposta non può essere immediata e riserva sorprese.

La triplicazione dell'onere
Vi sono banche, infatti, dove le voci di spesa sono addirittura tre: commissione per il bonifico, spesa di registrazione del bonifico e spesa di registrazione della commissione. Si tratta di un vero e proprio "anatocismo", ma delle spese (sulle spese) e non degli interessi (sugli interessi), come è più noto il termine nella prassi bancaria.
È come se un consumatore mettesse nel carrello un prodotto etichettato col prezzo di 4 euro e alla cassa scoprisse che il costo complessivo da pagare è di 10 euro. E questo perché il venditore ha deciso di recuperare anche 3 euro per la battitura dell'acquisto al registratore di cassa e 3 euro per la registrazione dell'operazione in contabilità. Al supermercato sarebbe inconcepibile, in banca, invece, rientra nella normalità, grazie all'iniquità e all'opacità delle condizioni contrattuali relative alle spese di registrazione.
Si tratta di un costo che prevede, per tutte le operazioni che generano una linea di estratto conto (se non esentate e se eccedenti il numero delle gratuite), l'addebito di un onere in sede di liquidazione trimestrale. Sulla falsariga dei notai anche le banche, quindi, riescono a presentare ai clienti il conto per le spese di scritturazione e registrazione!

I costi sopravvivono ai contabili mezze maniche
In realtà, quale debba essere il comportamento corretto Bankitalia l'ha già indicato nelle disposizioni sulla trasparenza bancaria: qualora un'operazione comporti più voci di costo a carico del cliente, la banca deve presentare le condizioni economiche in maniera tale che risulti facilmente comprensibile il costo complessivo. L'impressione, invece, è che il meccanismo sia perverso e non ben presente nemmeno agli addetti ai lavori. E, forse, alla stessa Vigilanza che, diversamente, sarebbe in qualche modo intervenuta, almeno nei casi di triplicazione dell'onere.
Per le ipotesi di duplicazione (con commissione e spesa di registrazione del bonifico), è invece stata la stessa Banca d'Italia che, nel redigere il fac-simile del foglio informativo dei conti correnti, ha avallato la previsione di una spesa variabile di registrazione non inclusa nel canone, precisando altresì che si aggiunge al costo dell'operazione. Come se nelle banche esistessero ancora i contabili mezze maniche, amanuensi e scribacchini, dediti alla registrazione di ogni operazione e al dispendioso conteggio di interessi e competenze (altra specifica voce di spesa specifica contemplata da Bankitalia)! Sarebbe, invece, auspicabile che, per trasparenza e chiarezza, quando la banca già addebita un costo per un'operazione (es. bonifico), la voce di spesa debba essere unica e onnicomprensiva, e non parziale e, come tale, fuorviante per il correntista.

Inibire il circolo vizioso delle spese
Alla Banca d'Italia andrebbe chiesto, se davvero intende garantire trasparenza e correttezza, di intervenire per evitare che ci siano banche che speculano sull'anatocismo della spesa (sulla spesa) con clausole contrattuali opache e inique. Fortunatamente, non tutte le banche triplicano l'onere. Molte, comunque, lo duplicano sommando commissione e spesa di registrazione del bonifico. Altre applicano solo la commissione. Pochissime, ma ci sono, non applicano nemmeno quest'ultima.

Costi per i clienti, ricavi per le banche

L'analisi di Plus24 ha rilevato che la commissione media applicata sui bonifici, disposti allo sportello e addebitati in c/c, è pari a 3,35 euro. Scende a 2,66 euro se hanno come destinatari c/c della stessa banca. Mentre l'onere si riduce a un terzo, rispettivamente a 1,12 e 0,78 euro, se i bonifici sono disposti online su internet (vedi tabella). La spesa di registrazione di ogni operazione non inclusa nel canone, invece, evidenzia un valore medio di 0,91 e uno massimo di 3,30 euro.
Siccome sono più di 1 miliardo e 220 milioni i bonifici disposti in un anno dalla clientela bancaria (di cui 528 milioni, pari al 43%, con modalità automatizzate), sommando le commissioni medie attese sui bonifici (circa 2,5 miliardi) e le relative spese di registrazione (1,3 miliardi), le banche supererebbero i 3,8 miliardi di ricavi, a fronte di costi di produzione stimati in 1,5 miliardi, pari al 19% del totale dei costi di offerta dei servizi di pagamento al dettaglio calcolati da Bankitalia.



lunedì 4 novembre 2013

Mps: prepariamoci alla svendita o a un nuovo ‘pateracchio’


Sul Fatto Quotidiano seguiamo ancora le vicende e i possibili sviluppo di MPS...

Mps è in corsa contro il tempo. Entro la fine del 2014 deve riuscire a raccogliere 2,5 miliardi di euro con un aumento di capitale. L’alternativa è la nazionalizzazione.
L’aumento di capitale serve infatti per rimborsare (in parte) i 4 miliardi di euro prestati dal Tesoro italiano con la sottoscrizione dei “Monti-bond”. In sostanza, se Montepaschi non inizia a restituire il prestito, lo stato converte i bond in azioni e diventa il maggiore azionista della banca.

Un percorso a marce forzate previsto dal piano di ristrutturazione della banca, reso noto il 7 ottobre, che è stato in pratica dettato dalla Commissione Europea.

Il presidente di Mps Alessandro Profumo sta cercando in tutti i modi di convincere nuovi investitori che potrebbero aderire all’aumento di capitale. Nell’assemblea straordinaria del 18 luglio è stato abolito il tetto del 4% al possesso azionario nel capitale della banca senese, previsto per gli azionisti diversi dalla Fondazione Montepaschi e ora i giochi sono più che mai aperti.

La Fondazione è ancora ufficialmente l’azionista di controllo, con il 33,5%, ma la sua importanza è destinata a ridursi progressivamente, visto che sarà costretta a cedere le sue azioni per ripagare il debito residuo di 350 milioni di euro che ha con dodici banche (alle quali la Fondazione ha già dato in pegno le azioni).

Ma chi prenderà il posto della Fondazione? A questa domanda, per ora, nessuno è in grado di rispondere. Si parla di ipotetici soci stranieri, forse russi, addirittura indiani, che avrebbero incontrato il presidente Profumo, ma non sembra siano in corso trattative.

Per l’ex sindaco di Siena e manager di Mps Pierluigi Piccini, alla fine la nazionalizzazione potrebbe essere l’unica strada possibile. Piccini ha lanciato l’idea di un accordo tra Mps e BancoPosta, che potrebbe avere la Cassa Depositi e Prestiti come garante. “In effetti – spiega Piccini – BancoPosta colloca già prodotti di altre banche”. Un’idea che non dispiacerebbe a Yoram Gutgeld, deputato Pd e consigliere economico di Matteo Renzi, sentito dal mensile Valori. “Un’ipotesi di fusione con BancoPosta potrebbe avere un senso” – ha spiegato Gutgeld. “BancoPosta è un soggetto che fa raccolta di risparmio e attività retail. E’ un soggetto bancario dello stesso settore di Mps”.

A Roma, intanto, sembra che nessuno abbia un’idea su un possibile piano di nazionalizzazione nel caso l’aumento di capitale si trasformasse in un flop – come molti temono. Al momento un esecutivo debole, schiacciato dai vincoli europei sul budget e dall’agenda economica del Pdl è costretto a subire i diktat di Bruxelles su Mps e non sembra avere alcuna visione sul futuro della terza e più antica banca italiana. 

Alla fine potremmo essere costretti ad assistere a una nuova svendita, con un socio straniero (magari la solita banca francese) che si porterebbe a casa Mps per quattro soldi. Oppure all’ennesimo pateracchio all’italiana, con l’iniezione di nuovo capitale pubblico per tappare buchi, sperando in un domani migliore. A meno che qualcuno, dalle parti del ministero dell’Economia, non inizi a pensare a un piano B. Prima che sia troppo tardi.

giovedì 24 ottobre 2013

Banche europee, al via l’esame della vigilanza. Draghi: “Niente sconti”


Ecco qui dal Corrire della Sera un estratto che parla del futuro delle banche italiane in seguito allo stress test istituito dalla Bce che partirà a novembre 2013.

La Banca centrale europea non avrà alcuna esitazione nel bocciare le banche che non passano la prova degli stress test il prossimo anno. E’ quanto ha tenuto a precisare il presidente dell’Eurotower, Mario Draghi nel giorno in cui Frnacoforte ha confermato i termini dell’avvio degli esimi per il credito del Vecchio Continente. “Le banche devono poter essere bocciate se devono essere bocciate lo saranno, non si discute”, ha detto il governatore della Bce a Bloomberg Tv. In molti Paesi dell’Eurozona l’azione della vigilanza ha spinto le banche a rafforzare sostanzialmente il proprio capitale, “ma certamente ora è l’inizio di un cambio di marcia”, ha aggiunto.

L’esame degli attivi delle banche europee che condurrà la Bce in vista della supervisione unica inizierà nel novembre 2013 e continuerà per 12 mesi. Per l’Italia saranno esaminati i principali 15 istituti di credito. L’operazione, spiega Francoforte, si fonderà su tre fasi: una valutazione del rischio per individuare, qualitativamente e quantitativamente, i fattori chiave di rischio comprese la liquidità, l’indebitamento e la raccolta. Quindi si svolgerà l’esame vero e proprio degli attivi per migliorare la trasparenza dell’esposizione delle banche, setacciando la qualità degli attivi includendo la valutazione del collaterale e i relativi accantonamenti. La terza fase vedrà la realizzazione di stress test per verificare la solidità dei bilanci bancari. Come emerso martedì 22, alle banche sarà richiesto un indice di capitale (common equity Tier 1) dell’8 per cento.

“E’, come era previsto, un esercizio serio che dura un anno. Bisogna affrontarlo con calma, con attenzione e rigore -  è stato il commento del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco – Occorrerà andare in tutte le banche in Europa per esaminarle con gli stessi criteri e questo sarà fatto”. Secondo il successore di Draghi a via Nazionale le banche italiane non saranno penalizzate rispetto all’esame degli attivi. “Mi pare che le sofferenze delle banche italiane siano viste come noi le valutiamo normalmente e a fronte delle sofferenze ci sono riserve e ci sono soprattutto azioni da prendere da parte delle banche per rendere il sistema più equilibrato e in grado di rispondere ad eventuali shock”, ha detto.

L’obbligo del core tier 1 all’8%stabilito dalla Bce “è un livello giusto – ha poi spiegato – E’ un accordo raggiunto tra tutte le autorità di vigilanza con la Bce, sicuramente è un livello giusto nel senso che dà modo di avere un capitale sufficiente per affrontare le difficoltà che si possono avere”. Il numero uno di Via Nazionale ribadisce poi che “la cosa più importante è che sia un esercizio rigoroso e serio che deve durare nel tempo e che sia basato su regole uniformi, condotto in modo omogeneo da tutte le banche interessate”.

venerdì 4 ottobre 2013

Unicredit vira sulla Polonia. Lanciata un'offerta per Bgz

La Polonia è una location su cui bisogna puntare sempre di più se si vuole investire. Ci prova Unicredit con un'offerta d'acquisto per un istituto di credito polacco. Ce lo spiega La Repubblica.

BERLINO - La Polonia che con la sua rivoluzione non violenta aprì la strada alla caduta dell'Impero sovietico è sempre più una location strategica per i grandi investitori occidentali. Per l'economia reale come per le banche. Unicredit ha appena annunciato stamane di aver presentato un'offerta d'acquisto per l'istituto di credito polacco Bgz, finora una controllata dell'olandese Rabobank. Bgz vantava a fine giugno attivi per 8,7 miliardi di euro, a conferma di come l'economia polacca, pur rallentando la crescita, resta in ottima salute.

"Vogliamo crescere in Polonia, che per noi è un paese strategico", ha annunciato il ceo di Unicredit, Federico Ghizzoni. E ha aggiunto: "Abbiamo fatto un'offerta per Bgz, siamo in una fase preliminare". Al tempo stesso, Unicredit, ha spiegato ancora il suo numero uno, sta "sondando il mercato per i nostri asset in Ucraina, e vedremo se troveremo controparti".

Le notizie sull'offerta di Unicredit per Bgz hanno subito avuto un impatto sulla Borsa di Varsavia, di gran lunga la più importante piazza d'affari dell'Europa centro-orientale e in trattative di fusione con la Borsa di Vienna con i polacchi in posizione di maggior forza. I titoli della Bgz sono infatti saliti del 5,76 per cento. E si è apprezzato anche il titolo della banca Pekao, grosso istituto polacco da tempo controllato da Unicredit, salendo nelle quotazioni dell'1,53 per cento. La Rabobank comunque si è rifiutata di commentare (non conferma, ma soprattutto non smentisce) le affermazioni di Ghizzoni, dicendo che sta studiando opzioni strategiche per Bgz.

giovedì 26 settembre 2013

Profumo (Mps), pronti a modificare il piano industriale

Milano Finanza ci mostra che MPS sembra pronta a modificare il proprio piano industriale.

Il management di Monte dei Paschi è disponibile a modificare il piano industriale 2013-2017, imposto dalla Commissione europea per il via libera definitivo ai 4,07 miliardi di euro di Monti bond, nell'interesse della banca e dell'Italia. Ieri il cda di Rocca Salimbeni ha deciso di rinviare l'approvazione del piano e stamani la Commissione Ue ha spiegato che ci sono ancora aspetti da chiarire.

Così, in un'audizione parlamentare il presidente di Mps, Alessandro Profumo, ha annunciato di essere "a disposizione del ministero e della Commissione Ue per apportare tutte le modifiche necessarie nell'interesse di tutti, della banca e del Paese, per arrivare alla definizione di questo processo".

Pur ritenendo di aver fatto tutto quanto necessario e opportuno, Profumo ha sottolineato che, se la Commissione europea dovesse richiedere ulteriori elementi, "li affronteremo con il medesimo spirito" e ha aggiunto di non avere, come banca Mps, "eccezioni da sollevare" in merito agli stipendi dei manager.

Secondo alcune fonti la questione pendente tra l'Unione europea e le autorità italiane riguarda ancora i livelli di retribuzione dei manager, un tema discusso già la scorsa settimana tra il commissario Ue alla concorrenza, Joaquin Almunia, e il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni.

Il mercato è ansioso di conoscere i dettagli del piano industriale per capire se Mps riuscirà a ripagare gli aiuti di Stato senza rischiare la nazionalizzazione. E' in programma un altro consiglio di amministrazione della banca a metà ottobre che però secondo una fonte, citata dall'agenzia Reuters, potrebbe essere anticipato "se arriva un documento dal ministero che permetta al presidente Profumo di convocare un consiglio di urgenza monotematico sul piano".

Per questo lo stesso presidente oggi ha passato la palla in merito al timing di un nuovo cda: "non dipende da noi". A seguito delle dichiarazioni di Profumo il titolo Mps si è rafforzato a Piazza Affari, ora passa di mano a quota 0,2123 euro e sale dell'1,34%.

giovedì 19 settembre 2013

Bpm, Bonomi incontra i sindacati e illustra la "Popolare bilanciata"

Su La Repubblica ecco il nuovo futuro (forse) di BPM: 

MILANO - Andrea Bonomi ci riprova. Ma stavolta sceglie di volare più basso, sperando in cambio di portare a casa un risultato concreto invece delle cocenti sconfitte assembleari che ha collezionato nelle precedenti occasioni. Sta di fatto che nelle ultime ventiquattro ore, a cavallo tra la serata di martedì e il pomeriggio di mercoledì, il presidente del consiglio di gestione della Bpm ha incontrato il segretario generale della Uilca, Massimo Masi, della Fabi, Lando Sileoni, della Fisac Cgil, Agostino Megale, e della Fiba Cisl, Giulio Romani.

Ai rappresentanti nazionali dei sindacati ha illustrato le linee guida della riforma dello Statuto su cui si sta lavorando: accantonata l'idea della trasformazione in spa, si va verso una "popolare bilanciata" che preveda una riduzione della rappresentanza dei dipendenti sotto il 50%, a partire dall'organismo principe: il consiglio di sorveglianza. Una scelta che va nella direzione di quanto auspicato da Banca d'Italia ma non ricalca esattamente le sue indicazioni (via Nazionale aveva apertamente chiesto la trasformazione in spa). Tuttavia, è il ragionamento, nel caso di un chiaro cambiamento dello Statuto anche l'autorità di vigilanza probabilmente sarà disponibile a considerare accettabile il percorso fatto. In caso contario, gli scenari sono piuttosto inquietanti: i precedenti di Banca Marche (commissariata) e lo stesso fuoco di fila che si sta scaricando su Carige fa capire che le autorità di vigilanza hanno ormai esaurito la pazienza, sopratutto in vista del passaggio delle principali banche sotto il controllo delle autorità europee.

A questo punto, illustrata la direzione che si intende prendere, si tratterà di trovare le soluzioni tecniche (per la riscrittura dello Statuto era stato a suo tempo allertato Guido Rossi). Ma quello che occorre è trovare un'intesa di massima, che regga al vaglio del voto assembleare per la riforma dello Statuto: si sta pensando ad una riduzione dei consiglieri del cds e soprattutto alla riduzione della presenza dei dipendenti (pensionati compresi) sotto il 50%. In questo consiglio di sorveglianza rinnovato nella forma e nella composizione dovrebbe trovar posto, come presidente, lo stesso Andrea Bonomi. I rappresentanti dei soci di capitale infatti dovrebbero a loro volta fare un passo indietro rispetto al consiglio di gestione, che passerebbe da cinque a sette membri (oltre a Bonomi, pare sia intenzionato a fare un passo indietro anche Dante Razzano).

Non è detto che, in questa riorganizzazione complessiva, lo stesso amministratore delegato Piero Montani resti al suo posto: ma allo stato si tratta di illazioni e ipotesi ancora embrionali. Quello che è più chiaro è il percorso: una riscrittura dello Statuto che salvi la forma popolare ma superi le anomalie che hanno finora caratterizzato la popolare di Milano. Il tempo stringe: entro il 23 settembre vanno date le risposte al verbale della Banca d'Italia, entro fine ottobre va varata la nuova governance e, a seguire, ci vuole l'assemblea straordinaria che approvi i cambiamenti. Solo a quel punto potrà partire l'aumento di capitale da 500 milioni.

mercoledì 10 luglio 2013

Dalla Svizzera al Liechtenstein, ecco dove resta il segreto bancario

Come ci dice il Sole 24 Ore cade il segreto bancario.

Con la ratifica dell'accordo tra Italia e San Marino cade definitivamente il segreto bancario. La convenzione contro le doppie imposizioni siglata dall'Italia con la Repubblica di San Marino prevede, infatti, lo scambio di informazioni necessario per prevenire l'elusione e l'evasione fiscale.
Caduto definitivamente il "muro" tra l'Italia e la repubblica del Titano, ne restano però da abbattere molti altri, primo tra tutti quello con la Svizzera.
E qui la situazione si complica: la Svizzera ha siglato i cosiddetti "accordi di Rubik" con Austria, Regno Unito e Germania (accordo poi sospeso), che prevedono il mantenimento dell'anonimato sui conti in cambio di una tassazione a forfait sul passato e un prelievo standard per il futuro. L'Italia avrebbe voluto fare lo stesso, visto che la stima dei depositi di italiani in territorio elvetico è di circa 120 miliardi di euro.
Ma le trattative avviate dal Governo Monti si sono arenate. Adesso è direttamente l'Europa ha cercare una nuova via per dialogare con la Svizzera, seguendo la scia degli Stati Uniti, con cui la confederazione elvetica ha siglato un accordo fiscale. Il segreto bancario svizzero, però, è duro a morire: dalla Camera bassa è infatti arrivato il primo stop alla rimozione del segreto, con la bocciatura ad ampia maggioranza della procedura di urgenza sulla discussione volta a ratificare l'accordo fiscale con gli Stati Uniti.
Se la vicenda con la Svizzera non sembra avviarsi a una conclusione, al contrario il Lussemburgo ha annunciato l'intenzione di scambiare informazioni con il resto dell'Unione europea a partire dal 1° gennaio del 2015.
E anche l'Austria ha confermato una analoga decisione, aprendo le porte alla revisione degli accordi con l'estero sul trattamento fiscale dei conti di cittadini non residenti.
Qualcosa si muove anche altrove: gli Stati membri hanno recentemente incaricato la Commissione Europea di dare avvio a una trattativa con Andorra, Liechtenstein, Monaco e San Marino per rivedere gli accordi sulla tassazione dei redditi da risparmio.

lunedì 1 luglio 2013

Bpm, l’ex ministro Flick non si accontenta e molla la banca dopo una settimana

Il Fatto Quotidiano:

Tutto o niente. Giovanni Maria Flick non si accontenta e, dopo avere perso la battaglia per la poltrona da presidente del consiglio di sorveglianza della Banca popolare di Milano, lascia l’incarico da consigliere a una settimana dalla nomina. L’ex presidente della Corte costituzionale e ministro della Giustizia con Prodi ha inviato una lettera al neopresidente del consiglio di sorveglianza, Giuseppe Coppini, annunciando le sue dimissioni, dopo che i soci dell’istituto milanese hanno dato “una risposta inequivoca che non posso sottovalutare”.
E’ infatti in corso da tempo all’interno della banca uno scontro per la trasformazione in società per azioni, su cui punta Andrea Bonomi, presidente del consiglio di gestione, per aumentare il valore della sua partecipazione e il controllo sul gruppo. Ma l’esito dell’assemblea di settimana scorsa ha confermato la contrarietà di una buona parte dei dipendenti-azionisti al progetto Spa. Flick, favorito da Bonomi, è stato infatti sconfitto duramente da Coppini, che ha portato a casa il doppio dei voti.
Flick si congratula con Coppini e spiega di aver accettato di far parte del consiglio in un primo momento “nella speranza di poter contribuire a un’evoluzione dell’assetto della banca e della governance che, sia pure da osservatore esterno, reputo assolutamente necessaria”. Dall’assemblea, secondo Flick, “è giusto trarre, in assoluta serenità, le doverose conseguenze rassegnando le dimissioni dall’incarico di consigliere di sorveglianza”.
L’ex ministro ci tiene a precisare, sempre rivolgendosi a Coppini, che “non la mancata elezione alla presidenza, da lei degnamente ricoperta, mi induce a tale atto, ma la consapevolezza che i soci hanno scelto un percorso diverso per adeguare l’assetto della banca o forse hanno scelto di conservare l’assetto attuale, ritenendo che al futuro della banca possa bastare il miglioramento dei margini di efficienza e produttività, non il cambiamento delle regole. In entrambi i casi – conclude Flick – auguro sinceramente alla banca, ai suoi soci e ai suoi clienti il miglior successo, consapevole di non poter dare, io, giurista e uomo delle regole, un contributo significativo a questo percorso”.

martedì 25 giugno 2013

Bpm crolla a Piazza Affari dopo l'assemblea: -7,5%

Su Repubblica si legge che Sabato a Piazza Meda Giuseppe Coppini è stato nominato presidente del consiglio di sorveglianza.

MILANO - Giornata di scambi pesante per la Banca Popolare di Milano, che cede ben oltre il listino generale, comunque in netto calo, e viene anche sospesa per eccesso di ribasso per poi chiudere con un fragoroso -7,5%. Le vendite sulla Bpm arrivano dopo l'assemblea di sabato che ha dato il via libera all'aumento di capitale da 500 milioni e ha votato Giuseppe Coppini nuovo presidente del consiglio di sorveglianza. Se l'esito dell'assemblea sulla ricapitalizzazione era in gran parte scontato, l'attenzione era concentrata sull'esito delle votazioni per il nuovo presidente per capire i rapporti di forza all'interno della banca.
Coppini, che nell'ottobre del 2011 era stato eletto dalla lista presentata dall'associazione, oggi disciolta, Amici della Bpm, ha raccolto la maggioranza dei voti (954), battendo di misura Piero Lonardi, rappresentante dei soci non dipendenti, che ha ottenuto 903 voti, e distanziando l'altro candidato forte, Giovanni Maria Flick, ex ministro della giustizia e della corte costituzionale, presentato da Investindustrial di Andrea Bonomi, che ha raccolto 516 voti.
Nel corso dell'assemblea, Bonomi ha ribadito l'importanza di intervenire sulla governance nonostante lo stop al progetto della trasformazione della popolare in una "Spa ibrida" bocciato nei mesi scorsi. Durante l'assemblea è stato fanno cenno anche a una possibile revisione del piano industriale approvato a luglio dello scorso anno per tenere conto dell'operazione di ricapitalizzazione funzionale al rimborso dei Tremonti bond, oltre che del nuovo contesto macroeconomico e operativo.

giovedì 20 giugno 2013

In sintesi le novità nell'industria del risparmio

Morningstar ci da la notizie che adesso anche Crédit Agricole è su twitter.

Gruppo Cariparma Crédit Agricole si fa ancora più social e dopo il lancio del canale YouTube, ora sbarca anche su Twitter. Tutti i giorni su questo nuovo canale di interazione, il gruppo bancario comunica con i suoi clienti con news, strumenti, sezioni di intrattenimento culturale, artistico e sociale sui progetti che periodicamente promuove. I nuovi canali interattivi sono gestiti con il supporto dell'agenzia We Are
Social.
“Guadagnare con la crisi - 10 consigli per salvare i nostri risparmi” è l’ultimo libro di Maria Teresa Cometto e Glauco Maggi, edito da Sperling & Kupfer, che analizza le caratteristiche degli strumenti finanziari di investimento. I due giornalisti classificano i diversi prodotti in base al grado di semplicità e sicurezza d’investimento e alla potenzialità di guadagno. Si rivolge a un ampio pubblico di lettori, in quanto individua varie categorie di soggetti: dai più avversi al rischio ai più prudenti, guidandoli nelle loro scelte di gestione del risparmio. Morningstar ha collaborato nella stesura dei contenuti, fornendo dati e strumenti operativi proprietari.
Ignis Asset Management, a seguito del successo di rendimento del fondo obbligazionario Ignis Absolute Return Governement Bond, registra la classe retail in dollari americani anche in Italia e in Ticino. In questo modo si offre uno strumento valido per quegli investitori che prevedono un apprezzamento del dollaro sull'euro nel breve termine.

Gruppo Cariparma Crédit Agricole si fa ancora più social e dopo il lancio del canale YouTube, ora sbarca anche su Twitter. Tutti i giorni su questo nuovo canale di interazione, il gruppo bancario comunica con i suoi clienti con news, strumenti, sezioni di intrattenimento culturale, artistico e sociale sui progetti che periodicamente promuove. I nuovi canali interattivi sono gestiti con il supporto dell'agenzia We Are Social.
“Guadagnare con la crisi - 10 consigli per salvare i nostri risparmi” è l’ultimo libro di Maria Teresa Cometto e Glauco Maggi, edito da Sperling & Kupfer, che analizza le caratteristiche degli strumenti finanziari di investimento. I due giornalisti classificano i diversi prodotti in base al grado di semplicità e sicurezza d’investimento e alla potenzialità di guadagno. Si rivolge a un ampio pubblico di lettori, in quanto individua varie categorie di soggetti: dai più avversi al rischio ai più prudenti, guidandoli nelle loro scelte di gestione del risparmio. Morningstar ha collaborato nella stesura dei contenuti, fornendo dati e strumenti operativi proprietari.
Ignis Asset Management, a seguito del successo di rendimento del fondo obbligazionario Ignis Absolute Return Governement Bond, registra la classe retail in dollari americani anche in Italia e in Ticino. In questo modo si offre uno strumento valido per quegli investitori che prevedono un apprezzamento del dollaro sull'euro nel breve termine.
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giovedì 13 giugno 2013

La vita nei fondi migliora

Secondo quanto risulta da uno studio condotto da Morningstar, la qualità dell'esperienza associata al risparmio gestito in Italia migliora, anche se è ancora lontana dai vertici della classifica internazionale.

Come vengono trattati i sottoscrittori di fondi in Italia? Che tipo di esperienza vivono nel momento in cui decidono di affidare i propri risparmi a una società di gestione del risparmio?

Morningstar effettua periodicamente uno studio, che interessa 24 paesi, in cui vengono date risposte precise a queste domande. Lo studio, che prende il nome di Global Fund Investor Experience, ha l’obiettivo di definire quali condizioni consentono di realizzare esperienze di investimento positive e, allo stesso tempo, esaminare in quali paesi tali condizioni sono presenti. Nella terza edizione di questa ricerca, l’Italia è stata promossa, da C a C+, ma continua a collocarsi in una fascia media rispetto all’insieme dei giudizi assegnati.

Sono quattro gli aspetti presi in considerazione nell’indagine:

  • Regolamentazione e tassazione: il giudizio dipende dall’efficacia del sistema delle regole nel proteggere gli interessi dei sottoscrittori; inoltre, paesi in cui la tassazione sui fondi è concepita in modo intelligente e, al contempo, con aliquote contenute ottengono un punteggio in più;
  • Grado di trasparenza: idealmente, le informazioni sono condivise in modo regolare, comprensibile e specifiche rispetto ai singoli fondi;
  • Costi: dalla prospettiva dell’investitore, costi di gestione bassi, a parità di qualità, sono la condizione ideale;
  • Distribuzione e media: l’esame verte sulla varietà ed efficienza dei canali distributivi, ma anche sull’attenzione posta dai vari fornitori di informazioni su aspetti critici per i sottoscrittori, come l’orizzonte di investimento o i costi.
Per quanto riguarda l’Italia, il giudizio è migliorato principalmente in relazione alle novità in materia fiscale. Infatti, con la riforma entrata in vigore dal primo luglio del 2011, i sottoscrittori non sono più tassati sui guadagni non realizzati, ma solo su quelli conseguiti, come avviene nella gran parte degli altri paesi. Per quanto riguarda la trasparenza, questa è mediamente buona, ma non è superiore a quella di altri paesi. I costi dei fondi, invece, rappresentano un’area dove l’investitore italiano viene trattato peggio di altri. Con riferimento alle politiche di distribuzione, vi sono dei progressi positivi sul tema dell’architettura aperta, ma la competizione tra prodotti e canali ancora non è ideale. Infine, in Italia i media apportano un contributo positivo, secondo il giudizio degli analisti di Morningstar, grazie al focus che viene spesso posto su aspetti di reale interesse per i sottoscrittori.

martedì 4 giugno 2013

Bpm, Flick foglia di fico sulla sconfitta della Spa?

Sulla Repubblica:

Persa una battaglia, si può ancora vincere una guerra. Forse è quanto ha pensato Andrea Bonomi, sentendo le parole del governatore della Banca d’Italia sull’opportunità di agevolare la trasformazione delle banche popolari in spa, specie quando queste siano grandi e per di più quotate. Ignazio Visco non
ha fatto nomi, ma il riferimento alla travagliatissima Popolare di Milano è stato trasparente. Una Popolare che nelle ultime settimane era ritornata indietro sui propri passi (o almeno sui passi compiuti da alcuni) tanto che lo stesso Bonomi aveva ammesso di aver fatto probabilmente una fuga in avanti intempestiva, con la sua proposta di trasformazione della Bpm in spa ibrida. Né può essere considerata risolutiva la proposta di eleggere Giovanni Maria Flick come consigliere del consiglio di sorveglianza, magari con la carica di presidente, avanzata dal socio Investindustrial per l’assemblea di fine giugno. Gli uomini sono importanti ma senza le giuste regole nessuno può farcela. E alla Popolare il punto resta la governance, le regole di (buon) governo per la banca. Bankitalia è tornata a ricordare che può «promuovere» modifiche nell’applicazione delle prassi di governance, ma anche che può richiederle «laddove le manchevolezze sono più rilevanti». Quelle manchevolezze che, a suo tempo, portarono via Nazionale a gravare conti della banca con i cosiddetti “addo on”. Ancora non rimossi.

venerdì 31 maggio 2013

Borse Ue positive, Tokyo in caduta libera. Asta di Btp, il tasso torna sopra il 4%

MILANO - L'irrazionalità dei mercati si legge nei dati macroeconomici: più si avvicina la crescita, per quanto lenta e fragile, più i listini si spaventano. A gettare nel panico le Borse di tutto il mondo sono state le parole di Ben Bernanke che non esclude di ridurre la portata dell'intervento della Federal Reserve a sostegno dell'economia. Ogni mese la Fed innonda il mercato con 85 miliardi di dollari di acquisti di bond, operazioni che verranno ridotte quando la ripresa sarà più solida. Un annuncio che per quanto atteso ha gettato scompiglio tra gli investitori, che temono un progressivo drenaggio della liquidità in circolazione. E per questo fanno paura i dati sulla fiducia dei consumatori Usa, ai massimi dal 2008, e persino i dati Ocse che descrivono un'economia globale a diverse velocità, ma comunque in ripresa: soffre ancora l'Eurozona, l'uscita della recessione coinciderà con l'inizio del 2014 e l'inversione di rotta si vedrà nella seconda parte dell'anno. Addirittura, per il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, i dati Ocse non considerano per l'Italia le riforme varate (a cominciare dal pagamento dei debiti della Pa, l'impatto sul Pil potrebbe essere positivo per lo 0,5%) e per l'Eurozona l'abbandono delle politiche di austerity. Insomma a livello razionale la situazione economica mostra alcuni segnali positivi, ma proprio perché la ripresa potrebbe significare la fine (o quanto meno la riduzione) degli aiuti delle Banche centrali, le Borse cresciute fino a livelli record da Tokyo a Wall Street, passando per Londra e Francoforte, hanno iniziato una forte correzione dovuta anche alla voglia degli investitori di monetizzare i guadagni accumulati da inizio anno. In Giappone, l'indice Nikkei ha perso il 5,15% azzerando i guadagni di maggio, ma prima dell'inversione di rotta aveva già guadagnato il 50% da gennaio. Seduta di segno opposto in Europa. A Milano, Piazza Affari chiude in rialzo dello 0,66% in scia a risultati positivi per l'asta di Btp del Tesoro, anche se lima qualcosa rispetto ai massimi dopo il Pil americano (cresciuto del 2,4% annuo nel primo trimestre contro l'atteso 2,5%). Telecom, dopo aver annunciato lo scorporo della rete, perde repentinamente valore nel finale. Piatta invece Rcs nel giorno dell'assemblea sull'aumento di capitale, per il quale Diego Della Valle ha deciso di votare contro. Salgono anche gli altri indici europei: Francoforte recupera lo 0,75%, Parigi lo 0,63% e Londra lo 0,42%. Wall Street si mantiene cauta, ma in terreno positivo: il Dow Jones avanza dello 0,3%, l'S&P 500 dello 0,5%, il Nasdaq dello 0,6%.
Sul versante obbligazionario c'era grande attesa per l'asta italiana di Btp. Il Tesoro ha collocato 3 miliardi di titoli a dieci anni con un tasso in crescita al 4,14% (era al 3,94% un mese fa, ai minimi da ottobre 2010). Piazzati poi 2,75 miliardi di Btp quinquennali, il target massimo, con il tasso in crescita al 3% dal 2,84% del collocamento di aprile. Nell'attesa lo spread, la differenza di rendimento tra i titoli di Stato decennali italiani e tedeschi, era risalito a quota 270 punti base, per poi ridiscendere a 259 punti con i Btp che rendono il 4,1%. L'euro chiude in rialzo sopra la soglia di 1,3 dollari: passa di mano a 1,3045 e 131,70 sullo yen. Wall Street si mantiene in rialzo: alla chiusura dei mercati europei il Dow Jones avanza dello 0,4%, in linea con l'S&P 500, mentre il Nasdaq sale dello 0,7%.
In Europa e Oltreatlantico l'attenzione era concentrata sui dati americani: il Pil della prima economia del mondo è cresciuto del 2,4% nel primo trimestre dell'anno, poco meno del 2,5% stimato nella prima lettura. Bene il dato sui consumi, saliti dell'1,8% rispetto all'1,5% della stima prelimare. Sono invece cresciute a sorpresa le richieste settimanali di sussidi per la disoccupazione: +10mila a quota 354mila unità. In aumento gli accordi di compromesso per l'acquisto di una casa negli Usa: sono saliti in aprile dello 0,3% rispetto al mese precedente al livello più alto dall'aprile del 2010. Nel Vecchio Continente, dove si segnala poi una ripresa della fiducia economica (con il relativo indice che ha guadagnato 0,8 punti a maggio, salendo a quota 89,4).
Sul fronte delle materie prime, l'oro si stabilizza a 1.380 dollari l'oncia. Poco mossi anche i prezzi del petrolio, che continuano comunque deboli dopo la flessione registrata ieri. Il Wti passa di mano sotto la soglia di 95 dollari al barile alla chiusura dei mercati azionari in Europa.

martedì 21 maggio 2013

Stallo sull’Unione bancaria europea tutti fermi in attesa del voto tedesco

La Repubblica:

Bruxelles - Oggi più che mai a pesare sul destino dell’Unione europea sono le elezioni tedesche del 22 settembre. Angela Merkel, pressata dagli euroscettici ai quali si è aggiunto il partito Alternative fuer Deutschland, prosegue nel difficile esercizio di equilibrismo che sta facendo ammattire gli altri leader del continente: far progredire l’Unione, la cui forza è necessaria per ridare fiato alla stessa economia tedesca, ma senza dare l’impressione ai suoi elettori di pagare i debiti degli spendaccioni
mediterranei. I tedeschi non esiterebbero a punire “la donna più potente del mondo” se avessero la conferma che i loro soldi vengano usati per coprire i buchi delle cicale del Sud. E così anche l’Unione bancaria resta impigliata nella rete della politica tedesca. Se fino a pochi anni fa Berlino era l’unica capitale che non condizionava l’Unione con le sue dinamiche interne, anzi era sempre pronta a uno sforzo per chiudere accordi a Bruxelles, oggi è quella che maggiormente determinerà il futuro di 500 milioni di europei. Il dossier bancario è uno degli ostaggi più illustri della campagna elettorale tedesca. Sono quasi due anni che l’Europa pensa di costruire una vera e propria Unione bancaria per rispondere alla crisi del debito sfociata nella drammatica recessione che sta martoriando il continente. Ma ad oggi solo il primo dei suoi tre pilastri, tra mille sofferenze, è stato costruito. Si tratta della vigilanza unica in capo alla
Bce. Il secondo tassello, giudicato fondamentale per stabilizzare i mercati, è il meccanismo di risoluzione delle crisi, un fondo comune che finanzi i salvataggi delle banche in rosso. Per capire la sua importanza basta rifarsi alle parole del consigliere della Banca centrale europea Benoit Coeurè, per il quale è vitale avere un settore del credito funzionante tanto che ogni ritardo sull’Unione bancaria provoca danni alla crescita e all’occupazione. Per questo Francoforte preme per la creazione di un istituto per il salvataggio delle banche ispirato all’americano Fdic e finanziato ex ante dalle stesse banche di tutta Europa e con una rete di sicurezza rappresentata dall’Esm, il fondo salva- Stati dell’Ue le cui casse sono rimpinguate dai governi. Ed è qui che i tedeschi storcono il naso. La Merkel teme infatti che questo schema venga letto dai suoi concittadini, anch’essi imprigionati in un dibattito sull’Europa sempre più populista, come un primo passo verso la condivisione dei rischi tra paesi Ue. Insomma, che i contribuenti della nazione più ricca debbano pagare gli errori degli altri. Per questo il potente Finanzminister Wolfgang Schaeuble sta rallentando l’accordo bancario sostenendo che una autorità unica di risoluzione delle crisi sarebbe illegale senza una precedente modifica dei Trattati europei. Nel frattempo, propone la mente economica di Frau Merkel, si dovrebbe agire attraverso uno schema basato su “una rete” di autorità nazionali. Insomma, ognuno paga per se e non si immagini altro fino alle fatidiche Wahlen tedesche di settembre. Ma gli altri leader non ci stanno. Il consiglio europeo del giugno 2012, quello della storica vittoria di Monti e Hollande contro la Merkel sullo scudo antispread, aveva approvato l’Unione bancaria con grande enfasi. Poi il giochino dei soliti falchi del Nord - tedeschi e olandesi e finlandesi - ha rallentato tutto. E sul summit del prossimo mese si allungano ombre sinistre. Il premier italiano Enrico Letta ha ricostruito il montiano asse con Hollande e Rajoy per scardinare lo schema rigorista dei tedeschi e dare all’Europa gli strumenti necessari per tornare a crescere. E se il presidente del Consiglio italiano ha ingaggiato una battaglia politica per ottenere misure che spingano occupazione giovanile e rilancio economico, la realizzazione dell’Unione bancaria è una premessa affinché queste politiche siano efficaci. Al punto che in ogni bilaterale, vuoi all’Eliseo, vuoi alla Moncloa, i protagonisti dell’asse mediterraneo hanno detto e ridetto che il loro primo obiettivo per il vertice del 27 e 28 giugno è la piena attuazione dell’Unione bancaria: «La condizione per creare lavoro - ha affermato Letta è il livello dei tassi di interesse, per questo l'Unione bancaria è necessaria, non dobbiamo perdere tempo». Ma i tedeschi non mollano, tanto che Schaeuble all’Europogruppo della scorsa settimana è andato avanti con la linea della modifica dei Trattati che, per chi mastica cose europee, vuol dire rimandare alle calende greche qualsiasi riforma. Appare quindi difficile che tra un mese al vertice di Bruxelles i tedeschi consentano una vera accelerazione. Più facile che si arrivi al solito pasticciato compromesso (vera specialità dei leader europei) che lasci tutto fermo dando però a ogni governo la possibilità di cantar vittoria. Per questo su qualcosa la Merkel dovrà cedere. E lo schema che si va profilando nelle stanze del potere di Berlino è di accontentare Italia, Francia e Spagna sull’occupazione giovanile anticipando, come richiesto dall’asse mediterraneo, l’entrata in vigore dell’apposito piano da sei miliardi di euro che altrimenti partirebbe tra un anno. Briciole se si pensa che i soldi andranno divisi tra tutti i paesi dell’Unione, ma un segnale politico che l’Europa ha superato l’ortodossia rigorista che i leader mediterranei potrebbero vendere in pompa magna alle proprie opinioni pubbliche. Facendo guadagnare tempo alla Merkel in vista delle faditiche elezioni d’autunno. Qui sotto, il presidente della Bce, Mario Draghi: all’istituto di Francoforte spetterà il ruolo più importante nella futura Unione bancaria, sia di coordinamento generale che di vigilanza.

lunedì 13 maggio 2013

Niente Spa in Bpm vince chi non vuole cambiare

La Repubblica ci svela la presa di posizione definitiva della Banca Popolare di Milano.

Gli errori non sono mai da una parte sola. Il vecchio adagio vale sempre, anche quando la concentrazione degli stessi sia in larga misura da un lato del tavolo e solo marginalmente dall’altro. A
guardare le ultime vicende di Bpm, evidentemente errori sono stati compiuti da tutti, anche da chi voleva imprimere un nuovo passo alla banca. L’effetto è che ora sembra di guardare un film vecchio di un paio di anni almeno, di essere tornati indietro nel tempo. E di sicuro uno degli errori del principale azionista della Popolare - di per sé una contraddizione in termini - Andrea Bonomi, è stato di far ricompattare il fronte dei sindacati interni, che a questo punto stanno riassaporando la sensazione di essere tornati a contare. E ora? La strada non è ancora del tutto tracciata, ma di sicuro la fuga in avanti è rientrata: la linea di compromesso che verrà trovata sarà probabilmente tale da cambiare il minor numero di cose possibili. Un peccato, perché gli aspetti di patologia, all’interno di quella banca, sono numerosi e comprovati. Una ragione in più per propendere per uno strappo netto e radicale. Ma evidentemente la voglia di cambiamento non era così diffusa. E magari gli interessi di chi proprio il cambiamento non voleva, particolarmente forti: compreso l’arrocco di tutto il sistema delle popolari, che si è mosso compatto per evitare un precedente evidentemente considerato intollerabile.