martedì 21 maggio 2013

Stallo sull’Unione bancaria europea tutti fermi in attesa del voto tedesco

La Repubblica:

Bruxelles - Oggi più che mai a pesare sul destino dell’Unione europea sono le elezioni tedesche del 22 settembre. Angela Merkel, pressata dagli euroscettici ai quali si è aggiunto il partito Alternative fuer Deutschland, prosegue nel difficile esercizio di equilibrismo che sta facendo ammattire gli altri leader del continente: far progredire l’Unione, la cui forza è necessaria per ridare fiato alla stessa economia tedesca, ma senza dare l’impressione ai suoi elettori di pagare i debiti degli spendaccioni
mediterranei. I tedeschi non esiterebbero a punire “la donna più potente del mondo” se avessero la conferma che i loro soldi vengano usati per coprire i buchi delle cicale del Sud. E così anche l’Unione bancaria resta impigliata nella rete della politica tedesca. Se fino a pochi anni fa Berlino era l’unica capitale che non condizionava l’Unione con le sue dinamiche interne, anzi era sempre pronta a uno sforzo per chiudere accordi a Bruxelles, oggi è quella che maggiormente determinerà il futuro di 500 milioni di europei. Il dossier bancario è uno degli ostaggi più illustri della campagna elettorale tedesca. Sono quasi due anni che l’Europa pensa di costruire una vera e propria Unione bancaria per rispondere alla crisi del debito sfociata nella drammatica recessione che sta martoriando il continente. Ma ad oggi solo il primo dei suoi tre pilastri, tra mille sofferenze, è stato costruito. Si tratta della vigilanza unica in capo alla
Bce. Il secondo tassello, giudicato fondamentale per stabilizzare i mercati, è il meccanismo di risoluzione delle crisi, un fondo comune che finanzi i salvataggi delle banche in rosso. Per capire la sua importanza basta rifarsi alle parole del consigliere della Banca centrale europea Benoit Coeurè, per il quale è vitale avere un settore del credito funzionante tanto che ogni ritardo sull’Unione bancaria provoca danni alla crescita e all’occupazione. Per questo Francoforte preme per la creazione di un istituto per il salvataggio delle banche ispirato all’americano Fdic e finanziato ex ante dalle stesse banche di tutta Europa e con una rete di sicurezza rappresentata dall’Esm, il fondo salva- Stati dell’Ue le cui casse sono rimpinguate dai governi. Ed è qui che i tedeschi storcono il naso. La Merkel teme infatti che questo schema venga letto dai suoi concittadini, anch’essi imprigionati in un dibattito sull’Europa sempre più populista, come un primo passo verso la condivisione dei rischi tra paesi Ue. Insomma, che i contribuenti della nazione più ricca debbano pagare gli errori degli altri. Per questo il potente Finanzminister Wolfgang Schaeuble sta rallentando l’accordo bancario sostenendo che una autorità unica di risoluzione delle crisi sarebbe illegale senza una precedente modifica dei Trattati europei. Nel frattempo, propone la mente economica di Frau Merkel, si dovrebbe agire attraverso uno schema basato su “una rete” di autorità nazionali. Insomma, ognuno paga per se e non si immagini altro fino alle fatidiche Wahlen tedesche di settembre. Ma gli altri leader non ci stanno. Il consiglio europeo del giugno 2012, quello della storica vittoria di Monti e Hollande contro la Merkel sullo scudo antispread, aveva approvato l’Unione bancaria con grande enfasi. Poi il giochino dei soliti falchi del Nord - tedeschi e olandesi e finlandesi - ha rallentato tutto. E sul summit del prossimo mese si allungano ombre sinistre. Il premier italiano Enrico Letta ha ricostruito il montiano asse con Hollande e Rajoy per scardinare lo schema rigorista dei tedeschi e dare all’Europa gli strumenti necessari per tornare a crescere. E se il presidente del Consiglio italiano ha ingaggiato una battaglia politica per ottenere misure che spingano occupazione giovanile e rilancio economico, la realizzazione dell’Unione bancaria è una premessa affinché queste politiche siano efficaci. Al punto che in ogni bilaterale, vuoi all’Eliseo, vuoi alla Moncloa, i protagonisti dell’asse mediterraneo hanno detto e ridetto che il loro primo obiettivo per il vertice del 27 e 28 giugno è la piena attuazione dell’Unione bancaria: «La condizione per creare lavoro - ha affermato Letta è il livello dei tassi di interesse, per questo l'Unione bancaria è necessaria, non dobbiamo perdere tempo». Ma i tedeschi non mollano, tanto che Schaeuble all’Europogruppo della scorsa settimana è andato avanti con la linea della modifica dei Trattati che, per chi mastica cose europee, vuol dire rimandare alle calende greche qualsiasi riforma. Appare quindi difficile che tra un mese al vertice di Bruxelles i tedeschi consentano una vera accelerazione. Più facile che si arrivi al solito pasticciato compromesso (vera specialità dei leader europei) che lasci tutto fermo dando però a ogni governo la possibilità di cantar vittoria. Per questo su qualcosa la Merkel dovrà cedere. E lo schema che si va profilando nelle stanze del potere di Berlino è di accontentare Italia, Francia e Spagna sull’occupazione giovanile anticipando, come richiesto dall’asse mediterraneo, l’entrata in vigore dell’apposito piano da sei miliardi di euro che altrimenti partirebbe tra un anno. Briciole se si pensa che i soldi andranno divisi tra tutti i paesi dell’Unione, ma un segnale politico che l’Europa ha superato l’ortodossia rigorista che i leader mediterranei potrebbero vendere in pompa magna alle proprie opinioni pubbliche. Facendo guadagnare tempo alla Merkel in vista delle faditiche elezioni d’autunno. Qui sotto, il presidente della Bce, Mario Draghi: all’istituto di Francoforte spetterà il ruolo più importante nella futura Unione bancaria, sia di coordinamento generale che di vigilanza.

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