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venerdì 14 marzo 2014

«Pulizia nelle banche per la ripresa» Draghi e la lezione di Schumpeter

Dal Corriere della Sera...

«Dopo 5 anni di crisi e di incertezza, il 2012 e il 2013 sono stati anni di stabilizzazione per l’area euro, con un ritorno della fiducia sulle prospettive dell’Unione. Il 2014 e il 2015 saranno anni di ripresa», afferma Mario Draghi durante la cerimonia di consegna del «Premio Schumpeter», alla Banca centrale austriaca. E però, per la prima volta, il presidente della Bce manifesta preoccupazione per il supereuro, riconoscendo che nell’ultimo anno e mezzo il rafforzamento della moneta comune ha «certamente avuto un impatto significativo» sulla bassa inflazione europea. Per questo la Bce «sta preparando ulteriori misure non convenzionali», per contrastare il rischio di deflazione. Ed è pronta a nuove azioni decisive, se necessario».

«Distruzione creativa»
«La ripresa rimane subordinata al proseguimento di quelle politiche che hanno riportato la fiducia: consolidamento fiscale favorevole alla crescita; riforme strutturali mirate ad aumentare gli investimenti e la produttività; una politica monetaria impegnata». Eppure a Vienna il presidente della Banca centrale europea può «dire per l’economia della zona euro quello che Galileo disse della terra: eppure si muove». La ripresa però è legata anche all’insieme di azioni per far ripartire il sistema finanziario, sottolinea Draghi riferendosi in particolare al cosidetto «Comprehensive Assessment» della Bce, cioè il check-up sulla salute del sistema bancario della zona euro, che precede l’avvio del Meccanismo unico di supervisione (Ssm) il prossimo novembre. E, prende spunto dal premio che gli è stato assegnato, per traccia un parallelo con le politiche applicate da Joseph Schumpeter, l’economista conosciuto per il noto concetto di distruzione creativa. «Facendo pulizia e riparando i bilanci delle banche, creiamo le condizioni necessarie perché le risorse tornino a scorrere verso le quelle aziende che le usano nel modo più produttivo». E quindi, «incoraggiando la distruzione creativa nel settore bancario, possiamo agevolare la distruzione creativa nell’economia in generale e sostenere la ripresa», sostiene Draghi.

La leva finanziaria
Il presidente della Bce affronta quindi le sfide per sanare il settore bancario gli istituti di credito. A partire dalla riduzione del debito (deleveraging): sebbene sia necessaria, non è desiderabile che avvenga in maniera eccessiva rapida, con svendite di attività in modo disordinato. Ed è questa una delle ragioni, ricorda il banchiere, pere cui due anni fa la Bce ha implementate le operazioni di rifinanziamento a lungo temine. Senza, ci sarebbe stata una «distruzione distruttiva», dice Draghi prendendo in prestito la terminologia di Schumpeter. La «forma buona» di riduzione della leva finanziaria per le banche, su cui punta la Bce, è quella dove l’equity cresce, attraverso il trattenimento degli utili o aumenti di capitale, dove i depositi aumentano e l’alleggerimento dei bilanci avviene attraverso la pulizia degli asset piuttosto che il taglio dei prestiti. Le società prive di un modello che funziona andrebbero invece lasciate fallire.

Tassi bassi ancora a lungo
Sui tassi Draghi ribadisce che resteranno «ai livelli correnti o più bassi per un periodo prolungato di tempo a lungo». La politica monetaria della Bce crea di fatto una posizione tale che i tassi di interesse sono destinati, spiega. Allo stesso tempo, lo spread tra i tassi di interesse nell’area euro e il resto del mondo probabilmente scenderà, abbassando la pressione sul cambio, restando ferma ogni altra. Una buona notizia, perché «il rafforzamento dell’euro nell’ultimo anno a mezzo ha certamente ad avere un impatto significativo sul basso tasso di inflazione europea». Ma, rassicura Draghi, il rischio di deflazione è piuttosto limitato. Avvertendo, però, che «più a lungo l’inflazione resta bassa, più aumentano i rischi». E’ il motivo per cui «la Bce sta preparando ulteriori misure di politica monetaria non convenzionali». Ed è «pronta a intraprendere nuove azioni, se necessarie».


mercoledì 22 gennaio 2014

Bonifico, ma quanto mi costi? Ecco come evitare brutte sorprese

Il Sole 24 Ore prova a dare alcuni consigli e avvertenze per quanto riguarda i bonifici bancari. 

L'indagine condotta da Plus24 sui costi dei conti correnti, pubblicata sabato 18 gennaio, evidenzia che quando un correntista chiede «Quanto mi costa un bonifico?», la risposta non può essere immediata e riserva sorprese.

La triplicazione dell'onere
Vi sono banche, infatti, dove le voci di spesa sono addirittura tre: commissione per il bonifico, spesa di registrazione del bonifico e spesa di registrazione della commissione. Si tratta di un vero e proprio "anatocismo", ma delle spese (sulle spese) e non degli interessi (sugli interessi), come è più noto il termine nella prassi bancaria.
È come se un consumatore mettesse nel carrello un prodotto etichettato col prezzo di 4 euro e alla cassa scoprisse che il costo complessivo da pagare è di 10 euro. E questo perché il venditore ha deciso di recuperare anche 3 euro per la battitura dell'acquisto al registratore di cassa e 3 euro per la registrazione dell'operazione in contabilità. Al supermercato sarebbe inconcepibile, in banca, invece, rientra nella normalità, grazie all'iniquità e all'opacità delle condizioni contrattuali relative alle spese di registrazione.
Si tratta di un costo che prevede, per tutte le operazioni che generano una linea di estratto conto (se non esentate e se eccedenti il numero delle gratuite), l'addebito di un onere in sede di liquidazione trimestrale. Sulla falsariga dei notai anche le banche, quindi, riescono a presentare ai clienti il conto per le spese di scritturazione e registrazione!

I costi sopravvivono ai contabili mezze maniche
In realtà, quale debba essere il comportamento corretto Bankitalia l'ha già indicato nelle disposizioni sulla trasparenza bancaria: qualora un'operazione comporti più voci di costo a carico del cliente, la banca deve presentare le condizioni economiche in maniera tale che risulti facilmente comprensibile il costo complessivo. L'impressione, invece, è che il meccanismo sia perverso e non ben presente nemmeno agli addetti ai lavori. E, forse, alla stessa Vigilanza che, diversamente, sarebbe in qualche modo intervenuta, almeno nei casi di triplicazione dell'onere.
Per le ipotesi di duplicazione (con commissione e spesa di registrazione del bonifico), è invece stata la stessa Banca d'Italia che, nel redigere il fac-simile del foglio informativo dei conti correnti, ha avallato la previsione di una spesa variabile di registrazione non inclusa nel canone, precisando altresì che si aggiunge al costo dell'operazione. Come se nelle banche esistessero ancora i contabili mezze maniche, amanuensi e scribacchini, dediti alla registrazione di ogni operazione e al dispendioso conteggio di interessi e competenze (altra specifica voce di spesa specifica contemplata da Bankitalia)! Sarebbe, invece, auspicabile che, per trasparenza e chiarezza, quando la banca già addebita un costo per un'operazione (es. bonifico), la voce di spesa debba essere unica e onnicomprensiva, e non parziale e, come tale, fuorviante per il correntista.

Inibire il circolo vizioso delle spese
Alla Banca d'Italia andrebbe chiesto, se davvero intende garantire trasparenza e correttezza, di intervenire per evitare che ci siano banche che speculano sull'anatocismo della spesa (sulla spesa) con clausole contrattuali opache e inique. Fortunatamente, non tutte le banche triplicano l'onere. Molte, comunque, lo duplicano sommando commissione e spesa di registrazione del bonifico. Altre applicano solo la commissione. Pochissime, ma ci sono, non applicano nemmeno quest'ultima.

Costi per i clienti, ricavi per le banche

L'analisi di Plus24 ha rilevato che la commissione media applicata sui bonifici, disposti allo sportello e addebitati in c/c, è pari a 3,35 euro. Scende a 2,66 euro se hanno come destinatari c/c della stessa banca. Mentre l'onere si riduce a un terzo, rispettivamente a 1,12 e 0,78 euro, se i bonifici sono disposti online su internet (vedi tabella). La spesa di registrazione di ogni operazione non inclusa nel canone, invece, evidenzia un valore medio di 0,91 e uno massimo di 3,30 euro.
Siccome sono più di 1 miliardo e 220 milioni i bonifici disposti in un anno dalla clientela bancaria (di cui 528 milioni, pari al 43%, con modalità automatizzate), sommando le commissioni medie attese sui bonifici (circa 2,5 miliardi) e le relative spese di registrazione (1,3 miliardi), le banche supererebbero i 3,8 miliardi di ricavi, a fronte di costi di produzione stimati in 1,5 miliardi, pari al 19% del totale dei costi di offerta dei servizi di pagamento al dettaglio calcolati da Bankitalia.



giovedì 24 ottobre 2013

Banche europee, al via l’esame della vigilanza. Draghi: “Niente sconti”


Ecco qui dal Corrire della Sera un estratto che parla del futuro delle banche italiane in seguito allo stress test istituito dalla Bce che partirà a novembre 2013.

La Banca centrale europea non avrà alcuna esitazione nel bocciare le banche che non passano la prova degli stress test il prossimo anno. E’ quanto ha tenuto a precisare il presidente dell’Eurotower, Mario Draghi nel giorno in cui Frnacoforte ha confermato i termini dell’avvio degli esimi per il credito del Vecchio Continente. “Le banche devono poter essere bocciate se devono essere bocciate lo saranno, non si discute”, ha detto il governatore della Bce a Bloomberg Tv. In molti Paesi dell’Eurozona l’azione della vigilanza ha spinto le banche a rafforzare sostanzialmente il proprio capitale, “ma certamente ora è l’inizio di un cambio di marcia”, ha aggiunto.

L’esame degli attivi delle banche europee che condurrà la Bce in vista della supervisione unica inizierà nel novembre 2013 e continuerà per 12 mesi. Per l’Italia saranno esaminati i principali 15 istituti di credito. L’operazione, spiega Francoforte, si fonderà su tre fasi: una valutazione del rischio per individuare, qualitativamente e quantitativamente, i fattori chiave di rischio comprese la liquidità, l’indebitamento e la raccolta. Quindi si svolgerà l’esame vero e proprio degli attivi per migliorare la trasparenza dell’esposizione delle banche, setacciando la qualità degli attivi includendo la valutazione del collaterale e i relativi accantonamenti. La terza fase vedrà la realizzazione di stress test per verificare la solidità dei bilanci bancari. Come emerso martedì 22, alle banche sarà richiesto un indice di capitale (common equity Tier 1) dell’8 per cento.

“E’, come era previsto, un esercizio serio che dura un anno. Bisogna affrontarlo con calma, con attenzione e rigore -  è stato il commento del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco – Occorrerà andare in tutte le banche in Europa per esaminarle con gli stessi criteri e questo sarà fatto”. Secondo il successore di Draghi a via Nazionale le banche italiane non saranno penalizzate rispetto all’esame degli attivi. “Mi pare che le sofferenze delle banche italiane siano viste come noi le valutiamo normalmente e a fronte delle sofferenze ci sono riserve e ci sono soprattutto azioni da prendere da parte delle banche per rendere il sistema più equilibrato e in grado di rispondere ad eventuali shock”, ha detto.

L’obbligo del core tier 1 all’8%stabilito dalla Bce “è un livello giusto – ha poi spiegato – E’ un accordo raggiunto tra tutte le autorità di vigilanza con la Bce, sicuramente è un livello giusto nel senso che dà modo di avere un capitale sufficiente per affrontare le difficoltà che si possono avere”. Il numero uno di Via Nazionale ribadisce poi che “la cosa più importante è che sia un esercizio rigoroso e serio che deve durare nel tempo e che sia basato su regole uniformi, condotto in modo omogeneo da tutte le banche interessate”.

venerdì 11 ottobre 2013

La Bce: i tassi resteranno bassi a lungo

La Stampa ci rassicura ancora una volta che c'è un lento, e anche se debole, segno di ripresa. Inoltre la Bce ribadisce la sua intenzione di voler mantenere i tassi di interesse bassi ancora a lungo.

La Bce esorta nuovamente i paesi dell’area euro a “non vanificare gli sforzi già compiuti” sul risanamento dei conti pubblici. Nel suo ultimo bollettino mensile l’istituzione ricorda che “i documenti programmatici di bilancio che i paesi si accingono a presentare per la prima volta ai sensi dei regolamenti del ’two-pack’ devono contenere misure di respiro sufficientemente ampio per la realizzazione degli obiettivi di bilancio definiti per il 2014”. “Inoltre - si legge - i governi devono intensificare decisamente gli sforzi nell’attuazione delle riforme strutturali necessarie nei mercati del lavoro e dei beni e servizi”.


Gli indicatori del clima di fiducia basati sulle indagini congiunturali fino a settembre mostrano un ulteriore miglioramento a partire da bassi livelli, confermando nel complesso le precedenti aspettative del Consiglio direttivo circa una graduale ripresa dell’economia. Lo si legge nel bollettino mensile della Bce che, nella sua introduzione, ripete pressoché alla lettera quanto affermato la settimana scorsa dal presidente dell’Eurotower, Mario Draghi, in apertura di conferenza stampa. I rischi per le prospettive economiche dell’area dell’euro continuano a essere orientati al ribasso e l’evoluzione delle condizioni nei mercati monetari e finanziari mondiali e le relative incertezze potrebbero incidere negativamente sulla situazione economica. I rischi al ribasso, prosegue il testo, riguardano inoltre rincari delle materie prime a fronte di rinnovate tensioni geopolitiche, una domanda mondiale inferiore alle attese e una lenta o insufficiente attuazione delle riforme strutturali.

La banca centrale europea continua inoltre a rassicurare sulla sua intenzione di mantenere i tassi di interesse bassi ancora a lungo. “L’orientamento di politica monetaria resterà accomodante finché sarà necessario”, afferma l’istituzione nel suo bollettino mensile. “Il Consiglio direttivo conferma di attendersi che i tassi di interesse rimangano su livelli pari o inferiori a quelli attuali per un prolungato periodo di tempo”.
Il tutto in base a prospettive di inflazione che restano invariate su livelli nel complesso moderati anche nel medio termine. “L’orientamento di politica monetaria - aggiunge la Bce - seguita a essere mirato a mantenere il grado di accomodamento richiesto dalle prospettive per la stabilità dei prezzi e a favorire condizioni stabili nel mercato monetario. In tal modo esso sostiene una graduale ripresa dell’economia”. 

venerdì 6 settembre 2013

Draghi: "La fiducia continua a migliorare, ma i tassi saranno bassi ancora a lungo"

Da "La Repubblica":

MILANO - Mario Draghi coglie il miglioramento degli indicatori economici e con essi il recupero di fiducia nel Vecchio Continente. Ma garantisce che modificare la politica monetaria è prematuro e, dopo aver lasciato il costo del denaro al minimo storico come da attese, aggiunge che il livello dei tassi sarà basso ancora a lungo. Anzi nel corso del board dell'istituto centrale europeo si è "discusso anche di un eventuale nuovo taglio" del costo del denaro. "Alcuni governatori", ha raccontato Draghi, "hanno osservato che la ripresa in corso non avrebbe giustificato questa discussione", mentre altri hanno sostenuto il contrario. Se le condizioni lo richiedessero "l'ipotesi sarà presa in considerazione".

La Banca centrale europea non ha toccato dunque i tassi di interesse della zona euro. L'Eurotower ha deciso di lasciare quello di riferimento allo 0,50%, il minimo storico a cui si trova dallo scorso 8 maggio. Anche la Banca d'Inghilterra ha tenuto oggi i tassi allo stesso livello e confermato il 'quantitative easing' a 375 miliardi di sterline. Nella consueta conferenza stampa che ha seguito il board della Bce, il governatore Draghi ha spiegato che la politica di Francoforte "sarà accomodante finché necessario, grazie alle prospettive dei prezzi, e orientata a favore della loro stabilità".  La stima dell'inflazione nella zona della moneta unica è stata alzata all'1,5% nel 2013 e confermata all'1,3% per l'anno prossimo. Draghi ha però parlato di "livello basso nei prossimi mesi per il calo del costo dell'energia". Dall'ex numero uno di Bankitalia è arrivato invece un "no comment" sulla situazione politica italiana: "Capirete perché", ha detto ai giornalisti.

Nonostante sia "sceso" il livello della liquidità in eccesso nel sistema finanziario, la Bce si è detta "pronta ad agire" su questo versante. Nonostante gli ultimi dati confermino il ritorno alla crescita, vista graduale nella restante parte dell'anno e poi confermata nel 2014, il banchiere centrale ha ricordato che i tassi saranno fermi o addirittura in calo "per un periodo prolungato". Proprio sul fronte del Pil, la nuova stima dell'Eurotower è migliorata a -0,4% per il 2013 (contro il -0,6% precedente), ma la crescita dell'anno prossimo è tagliata a +1% nell'Eurozona (da +1,1%). Il problema centrale nei Paesi dell'eurozona è la disoccupazione, che "resta a livelli elevati" e il problema deve essere affrontato con "riforme strutturali incisive che mirino a ridurre le rigidità sui mercati del lavoro e ad aumentare la domanda di manodopera", ha spiegato Draghi.

Il governatore ha parlato anche degli sviluppi futuri in termini di attività di regolamentazione e supervisione: "Sulla supervisione unica bancaria è in corso una discussione con il Parlamento Europeo, con progressi considerevoli: arriveranno notizie positive nei prossimi giorni", ha detto Draghi. A metà ottobre, invece, "ci saranno i dettagli sulla revisione della qualità degli asset delle banche" europee. Sulla procedura per la chiusura delle banche, Draghi ha precisato che l'idea della Bce è che l'iniziativa venga lasciata ai governi, che decidano dopo un parere dell'Eurotower. Quanto alla situazione della Grecia, che avrà bisogno ulteriori aiuti per una decina di miliardi di euro, Draghi ha spiegato che ci saranno "solo con nuove condizioni".

giovedì 13 giugno 2013

La vita nei fondi migliora

Secondo quanto risulta da uno studio condotto da Morningstar, la qualità dell'esperienza associata al risparmio gestito in Italia migliora, anche se è ancora lontana dai vertici della classifica internazionale.

Come vengono trattati i sottoscrittori di fondi in Italia? Che tipo di esperienza vivono nel momento in cui decidono di affidare i propri risparmi a una società di gestione del risparmio?

Morningstar effettua periodicamente uno studio, che interessa 24 paesi, in cui vengono date risposte precise a queste domande. Lo studio, che prende il nome di Global Fund Investor Experience, ha l’obiettivo di definire quali condizioni consentono di realizzare esperienze di investimento positive e, allo stesso tempo, esaminare in quali paesi tali condizioni sono presenti. Nella terza edizione di questa ricerca, l’Italia è stata promossa, da C a C+, ma continua a collocarsi in una fascia media rispetto all’insieme dei giudizi assegnati.

Sono quattro gli aspetti presi in considerazione nell’indagine:

  • Regolamentazione e tassazione: il giudizio dipende dall’efficacia del sistema delle regole nel proteggere gli interessi dei sottoscrittori; inoltre, paesi in cui la tassazione sui fondi è concepita in modo intelligente e, al contempo, con aliquote contenute ottengono un punteggio in più;
  • Grado di trasparenza: idealmente, le informazioni sono condivise in modo regolare, comprensibile e specifiche rispetto ai singoli fondi;
  • Costi: dalla prospettiva dell’investitore, costi di gestione bassi, a parità di qualità, sono la condizione ideale;
  • Distribuzione e media: l’esame verte sulla varietà ed efficienza dei canali distributivi, ma anche sull’attenzione posta dai vari fornitori di informazioni su aspetti critici per i sottoscrittori, come l’orizzonte di investimento o i costi.
Per quanto riguarda l’Italia, il giudizio è migliorato principalmente in relazione alle novità in materia fiscale. Infatti, con la riforma entrata in vigore dal primo luglio del 2011, i sottoscrittori non sono più tassati sui guadagni non realizzati, ma solo su quelli conseguiti, come avviene nella gran parte degli altri paesi. Per quanto riguarda la trasparenza, questa è mediamente buona, ma non è superiore a quella di altri paesi. I costi dei fondi, invece, rappresentano un’area dove l’investitore italiano viene trattato peggio di altri. Con riferimento alle politiche di distribuzione, vi sono dei progressi positivi sul tema dell’architettura aperta, ma la competizione tra prodotti e canali ancora non è ideale. Infine, in Italia i media apportano un contributo positivo, secondo il giudizio degli analisti di Morningstar, grazie al focus che viene spesso posto su aspetti di reale interesse per i sottoscrittori.

venerdì 31 maggio 2013

Borse Ue positive, Tokyo in caduta libera. Asta di Btp, il tasso torna sopra il 4%

MILANO - L'irrazionalità dei mercati si legge nei dati macroeconomici: più si avvicina la crescita, per quanto lenta e fragile, più i listini si spaventano. A gettare nel panico le Borse di tutto il mondo sono state le parole di Ben Bernanke che non esclude di ridurre la portata dell'intervento della Federal Reserve a sostegno dell'economia. Ogni mese la Fed innonda il mercato con 85 miliardi di dollari di acquisti di bond, operazioni che verranno ridotte quando la ripresa sarà più solida. Un annuncio che per quanto atteso ha gettato scompiglio tra gli investitori, che temono un progressivo drenaggio della liquidità in circolazione. E per questo fanno paura i dati sulla fiducia dei consumatori Usa, ai massimi dal 2008, e persino i dati Ocse che descrivono un'economia globale a diverse velocità, ma comunque in ripresa: soffre ancora l'Eurozona, l'uscita della recessione coinciderà con l'inizio del 2014 e l'inversione di rotta si vedrà nella seconda parte dell'anno. Addirittura, per il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, i dati Ocse non considerano per l'Italia le riforme varate (a cominciare dal pagamento dei debiti della Pa, l'impatto sul Pil potrebbe essere positivo per lo 0,5%) e per l'Eurozona l'abbandono delle politiche di austerity. Insomma a livello razionale la situazione economica mostra alcuni segnali positivi, ma proprio perché la ripresa potrebbe significare la fine (o quanto meno la riduzione) degli aiuti delle Banche centrali, le Borse cresciute fino a livelli record da Tokyo a Wall Street, passando per Londra e Francoforte, hanno iniziato una forte correzione dovuta anche alla voglia degli investitori di monetizzare i guadagni accumulati da inizio anno. In Giappone, l'indice Nikkei ha perso il 5,15% azzerando i guadagni di maggio, ma prima dell'inversione di rotta aveva già guadagnato il 50% da gennaio. Seduta di segno opposto in Europa. A Milano, Piazza Affari chiude in rialzo dello 0,66% in scia a risultati positivi per l'asta di Btp del Tesoro, anche se lima qualcosa rispetto ai massimi dopo il Pil americano (cresciuto del 2,4% annuo nel primo trimestre contro l'atteso 2,5%). Telecom, dopo aver annunciato lo scorporo della rete, perde repentinamente valore nel finale. Piatta invece Rcs nel giorno dell'assemblea sull'aumento di capitale, per il quale Diego Della Valle ha deciso di votare contro. Salgono anche gli altri indici europei: Francoforte recupera lo 0,75%, Parigi lo 0,63% e Londra lo 0,42%. Wall Street si mantiene cauta, ma in terreno positivo: il Dow Jones avanza dello 0,3%, l'S&P 500 dello 0,5%, il Nasdaq dello 0,6%.
Sul versante obbligazionario c'era grande attesa per l'asta italiana di Btp. Il Tesoro ha collocato 3 miliardi di titoli a dieci anni con un tasso in crescita al 4,14% (era al 3,94% un mese fa, ai minimi da ottobre 2010). Piazzati poi 2,75 miliardi di Btp quinquennali, il target massimo, con il tasso in crescita al 3% dal 2,84% del collocamento di aprile. Nell'attesa lo spread, la differenza di rendimento tra i titoli di Stato decennali italiani e tedeschi, era risalito a quota 270 punti base, per poi ridiscendere a 259 punti con i Btp che rendono il 4,1%. L'euro chiude in rialzo sopra la soglia di 1,3 dollari: passa di mano a 1,3045 e 131,70 sullo yen. Wall Street si mantiene in rialzo: alla chiusura dei mercati europei il Dow Jones avanza dello 0,4%, in linea con l'S&P 500, mentre il Nasdaq sale dello 0,7%.
In Europa e Oltreatlantico l'attenzione era concentrata sui dati americani: il Pil della prima economia del mondo è cresciuto del 2,4% nel primo trimestre dell'anno, poco meno del 2,5% stimato nella prima lettura. Bene il dato sui consumi, saliti dell'1,8% rispetto all'1,5% della stima prelimare. Sono invece cresciute a sorpresa le richieste settimanali di sussidi per la disoccupazione: +10mila a quota 354mila unità. In aumento gli accordi di compromesso per l'acquisto di una casa negli Usa: sono saliti in aprile dello 0,3% rispetto al mese precedente al livello più alto dall'aprile del 2010. Nel Vecchio Continente, dove si segnala poi una ripresa della fiducia economica (con il relativo indice che ha guadagnato 0,8 punti a maggio, salendo a quota 89,4).
Sul fronte delle materie prime, l'oro si stabilizza a 1.380 dollari l'oncia. Poco mossi anche i prezzi del petrolio, che continuano comunque deboli dopo la flessione registrata ieri. Il Wti passa di mano sotto la soglia di 95 dollari al barile alla chiusura dei mercati azionari in Europa.

martedì 21 maggio 2013

Stallo sull’Unione bancaria europea tutti fermi in attesa del voto tedesco

La Repubblica:

Bruxelles - Oggi più che mai a pesare sul destino dell’Unione europea sono le elezioni tedesche del 22 settembre. Angela Merkel, pressata dagli euroscettici ai quali si è aggiunto il partito Alternative fuer Deutschland, prosegue nel difficile esercizio di equilibrismo che sta facendo ammattire gli altri leader del continente: far progredire l’Unione, la cui forza è necessaria per ridare fiato alla stessa economia tedesca, ma senza dare l’impressione ai suoi elettori di pagare i debiti degli spendaccioni
mediterranei. I tedeschi non esiterebbero a punire “la donna più potente del mondo” se avessero la conferma che i loro soldi vengano usati per coprire i buchi delle cicale del Sud. E così anche l’Unione bancaria resta impigliata nella rete della politica tedesca. Se fino a pochi anni fa Berlino era l’unica capitale che non condizionava l’Unione con le sue dinamiche interne, anzi era sempre pronta a uno sforzo per chiudere accordi a Bruxelles, oggi è quella che maggiormente determinerà il futuro di 500 milioni di europei. Il dossier bancario è uno degli ostaggi più illustri della campagna elettorale tedesca. Sono quasi due anni che l’Europa pensa di costruire una vera e propria Unione bancaria per rispondere alla crisi del debito sfociata nella drammatica recessione che sta martoriando il continente. Ma ad oggi solo il primo dei suoi tre pilastri, tra mille sofferenze, è stato costruito. Si tratta della vigilanza unica in capo alla
Bce. Il secondo tassello, giudicato fondamentale per stabilizzare i mercati, è il meccanismo di risoluzione delle crisi, un fondo comune che finanzi i salvataggi delle banche in rosso. Per capire la sua importanza basta rifarsi alle parole del consigliere della Banca centrale europea Benoit Coeurè, per il quale è vitale avere un settore del credito funzionante tanto che ogni ritardo sull’Unione bancaria provoca danni alla crescita e all’occupazione. Per questo Francoforte preme per la creazione di un istituto per il salvataggio delle banche ispirato all’americano Fdic e finanziato ex ante dalle stesse banche di tutta Europa e con una rete di sicurezza rappresentata dall’Esm, il fondo salva- Stati dell’Ue le cui casse sono rimpinguate dai governi. Ed è qui che i tedeschi storcono il naso. La Merkel teme infatti che questo schema venga letto dai suoi concittadini, anch’essi imprigionati in un dibattito sull’Europa sempre più populista, come un primo passo verso la condivisione dei rischi tra paesi Ue. Insomma, che i contribuenti della nazione più ricca debbano pagare gli errori degli altri. Per questo il potente Finanzminister Wolfgang Schaeuble sta rallentando l’accordo bancario sostenendo che una autorità unica di risoluzione delle crisi sarebbe illegale senza una precedente modifica dei Trattati europei. Nel frattempo, propone la mente economica di Frau Merkel, si dovrebbe agire attraverso uno schema basato su “una rete” di autorità nazionali. Insomma, ognuno paga per se e non si immagini altro fino alle fatidiche Wahlen tedesche di settembre. Ma gli altri leader non ci stanno. Il consiglio europeo del giugno 2012, quello della storica vittoria di Monti e Hollande contro la Merkel sullo scudo antispread, aveva approvato l’Unione bancaria con grande enfasi. Poi il giochino dei soliti falchi del Nord - tedeschi e olandesi e finlandesi - ha rallentato tutto. E sul summit del prossimo mese si allungano ombre sinistre. Il premier italiano Enrico Letta ha ricostruito il montiano asse con Hollande e Rajoy per scardinare lo schema rigorista dei tedeschi e dare all’Europa gli strumenti necessari per tornare a crescere. E se il presidente del Consiglio italiano ha ingaggiato una battaglia politica per ottenere misure che spingano occupazione giovanile e rilancio economico, la realizzazione dell’Unione bancaria è una premessa affinché queste politiche siano efficaci. Al punto che in ogni bilaterale, vuoi all’Eliseo, vuoi alla Moncloa, i protagonisti dell’asse mediterraneo hanno detto e ridetto che il loro primo obiettivo per il vertice del 27 e 28 giugno è la piena attuazione dell’Unione bancaria: «La condizione per creare lavoro - ha affermato Letta è il livello dei tassi di interesse, per questo l'Unione bancaria è necessaria, non dobbiamo perdere tempo». Ma i tedeschi non mollano, tanto che Schaeuble all’Europogruppo della scorsa settimana è andato avanti con la linea della modifica dei Trattati che, per chi mastica cose europee, vuol dire rimandare alle calende greche qualsiasi riforma. Appare quindi difficile che tra un mese al vertice di Bruxelles i tedeschi consentano una vera accelerazione. Più facile che si arrivi al solito pasticciato compromesso (vera specialità dei leader europei) che lasci tutto fermo dando però a ogni governo la possibilità di cantar vittoria. Per questo su qualcosa la Merkel dovrà cedere. E lo schema che si va profilando nelle stanze del potere di Berlino è di accontentare Italia, Francia e Spagna sull’occupazione giovanile anticipando, come richiesto dall’asse mediterraneo, l’entrata in vigore dell’apposito piano da sei miliardi di euro che altrimenti partirebbe tra un anno. Briciole se si pensa che i soldi andranno divisi tra tutti i paesi dell’Unione, ma un segnale politico che l’Europa ha superato l’ortodossia rigorista che i leader mediterranei potrebbero vendere in pompa magna alle proprie opinioni pubbliche. Facendo guadagnare tempo alla Merkel in vista delle faditiche elezioni d’autunno. Qui sotto, il presidente della Bce, Mario Draghi: all’istituto di Francoforte spetterà il ruolo più importante nella futura Unione bancaria, sia di coordinamento generale che di vigilanza.

mercoledì 8 maggio 2013

L'utile Crédit Agricole cresce del 50%. Brillante la controllata Cariparma

Come sostiene Repubblica, Crédit Agricole ha chiuso il trimestre a +50,7% rispetto ai primi tre mesi del 2012.

MILANO - Scontati lo scorso anno i costi straordinari legati alla Grecia, Crédit Agricole ha chiuso il primo trimestre con un utile netto di 469 milioni di euro (+50,7% sui primi tre mesi del 2012), mentre il margine di intermediazione è sceso del 26,2% a 3,85 miliardi.
Trimestre positivo anche per la controllata italiana Cariparma che ha registrato un utile netto di 38 milioni di euro: "In un contesto difficile - spiega un comunicato della società - Cariparma conserva un buon dinamismo commerciale e una soddisfacente efficienza operativa". La raccolta diretta è cresciuta del 2% a 35,8 miliardi a fine marzo, mentre gli impieghi sono calati del 2% a 32,8 miliardi. I proventi operativi netti diminuiscono del 3,3% a 387 milioni, per effetto principalmente delle minori richieste di investimento da parte delle imprese. Gli impieghi a famiglie salgono invece del 4%. Quanto per la filiale italiana di credito al consumo Agos Ducato gli accantonamenti del trimestre ammontano a 232 milioni.
Tornando a Crédit Agricole, i crediti deteriorati del gruppo sono pari a 16,4 miliardi, il 3,6% degli impieghi totali, in aumento dal 3,2% ai 31 marzo 2012, mentre l'indice patrimoniale core tier 1 è del 9,7% ante applicazione della normativa transitoria sui conglomerati finanziari e migliora dello 0,5% grazie al deconsolidamento della greca Emporiki. Applicando la normativa il rapporto scende all'8,5%.

martedì 30 aprile 2013

Moody's: non è escluso che l'Italia chieda aiuti alla Bce. La situazione resta difficile

Il Sole 24 Ore non esclude una possibile richesta di aiuto da parte dell'Italia alla Bce.

«Non è ancora possibile escludere che l'Italia possa chiedere aiuti alla Bce in futuro». Lo afferma ai media un funzionario di Moody's. - verificherà la «capacita del nuovo governo italiano di perseguire le riforme» e sottolinea che «la situazione rimane difficile». «Bisognerà verificare il mandato dell'esecutivo appena insediato e quindi la sua capacità di affrontare con decisione le imponenti riforme strutturali di cui il Paese avrebbe bisogno per migliorare la propria «affidabilita» creditizia. Per ora, la situazione resta difficile». Così Dietmar Hornung, analista responsabile per il rating dell'Italia di Moody's - l'agenzia che nei giorni scorsi ha confermato il rating italiano "Baa2" con outlook negativo - intervistato dal Sole 24 Ore. E tra i provvedimenti più urgenti Hornung annovera quelli sul mercato del lavoro. «Noi non diamo suggerimenti su quale politica economica attuare. C'è un insieme complesso di misure che potrebbero «impattare» positivamente sulla competitività.
«Pensiamo al mercato del lavoro. Da un lato eccessivamente regolamentato e dall'altro ancora vincolato ad accordi di categoria nazionali che potrebbero viceversa essere decentrati», dice. E poi le banche. «Le banche detengono ingenti stock di debito e sono incentivate a riacquistare titoli pubblici anziché assegnare il denaro alle aziende a prezzi ragionevoli», dice indicando una delle «cause primarie» del credit crunch. «Le banche oggi sono vulnerabili a ulteriori shock e sono un elemento di pressioni sul rating anziché di supporto alla ripresa».
La settimana scorsa Piazza Affari è salita del 5,1% e lo spread BTp-Bund è sceso a 268 punti con il rendimento dei BTp a 10 anni scivolato sotto il 4 per cento.




mercoledì 24 aprile 2013

Banche pubbliche: i rischi per la Ue

Dal Sole 24 Ore:

La mano pubblica si prende l'ennesima banca, questa volta in Grecia. L'aumento delle nazionalizzazioni bancarie non è una buona notizia.
Quanto il perimetro della banca pubblica si allarga in un Paese con bassa efficienza delle regole e delle istituzioni - come la Grecia, ma anche l'Italia - i rischi di creare un focolaio di inefficienza e corruzione sono alti.
Ma quando il fenomeno della nazionalizzazione bancaria riguarda una intera area di scambio, come è l'Unione Europea, i rischi sono ancora maggiori: al crescere dei legami in ciascuna nazione tra banche, politici e supervisori nazionali, tanto più si può rendere difficile e non credibile il cammino verso l'Unione Bancaria.
La notizia che la banca greca Eurobank finirà sotto il controllo statale, essendo fallito il tentativo di privatizzarla, rappresenta solo l'ultimo capitolo del libro delle nuove nazionalizzazioni bancarie, che si è iniziato a scrivere nei paesi avanzati fin dai primi passi della Grande Crisi e che verosimilmente potrà arricchirsi di nuove puntate, se il combinato disposto di recessione e cattivo disegno dell'intervento pubblico, statale ed europeo, continuerà. Le nuove nazionalizzazioni bancarie seguono un copione ben preciso. Il primo passo è la crisi, conclamata o temuta , di una o più banche rilevanti. Il concetto di rilevante ha ricevuto negli ultimi anni una sensibile estensione. Prima della Grande Crisi la definizione di banca rilevante coincideva con quella di grande banca; oggi la dimensione, la complessità e l'interconnessione presente nei mercati finanziari porta a considerare rilevanti tutti quegli intermediari il cui fallimento è potenzialmente in grado di innescare il cosiddetto effetto contagio. Il contagio si materializza attraverso una diffusa crisi di fiducia nella capacità delle banche di onorare i propri debiti. Poiché i debiti delle banche sono nei portafogli di tutti i cittadini, la crisi di fiducia affonda il sistema bancario nel suo complesso, produce una distruzione di ricchezza profonda e generalizzata, prima finanziaria e poi economica. Il più recente esempio: Si pensi a quello che è successo, poteva e può ancora succedere a Cipro.
In una situazione di questo tipo lo Stato deve intervenire, provando a disinnescare il detonatore del contagio prima che si producano gli effetti tossici. Al di là delle specifiche tecniche utilizzate, il meccanismo di fondo è sempre lo stesso: lo Stato assume su di sé l'onere dei debiti. Quindi il costo del disinnesco cade alla fine sui contribuenti. E' evidente che lo Stato diviene il pompiere che deve spegnere i focolai pericolosi, per evitare incendi più dannosi. Ma come evitare che la presenza di un pompiere pubblico non causi formidabili distorsioni nei comportamenti di chi con il fuoco ci lavora, cioè tutti quegli agenti privati che gestiscono, e/o finanziano e/o utilizzano le banche ?
Da qui due chiare indicazioni di politica economica e delle regole. Innanzitutto ,chiunque abbia a che fare con il fuoco deve sapere che ci si può scottare, con bruciature ed ustioni variabili a seconda del tipo di rapporto che li lega alla banca. In secondo luogo, l'intervento del pompiere deve essere non programmabile - non tutti gli incendi meritano di essere spenti - e temporaneo - il pompiere spegne l'incendio al meglio e poi riconsegna i diritti di proprietà e gestione dei beni a chi è ancora disposto a pagare un prezzo per averli.
Ma quanto questi due principi sono oggi realizzabili in Europa? Innanzitutto sappiamo che spesso i pompieri sono anche dei piromani, per almeno due ragioni. Da un lato le crisi bancarie possono nascere perché i meccanismi del credito sono inquinati dalla politica, o mal sorvegliati dalle autorità di vigilanza, o dal combinato disposto di questi due fattori. Dall'altro lato, le banche possono diventare instabili perché nel loro portafoglio c'è una quota rilevante di titoli pubblici, in un Stato caratterizzato da rischio insolvenza. In entrambi i casi, l'intervento del pompiere rischia quindi di non essere né imprevedibile né temporaneo. Dunque, la probabilità che ci siano nuovi incendi non si riduce; anzi, aumenta.
Ma c'è di più. In Europa i pompieri possono continuare a fare i piromani, facendo pagare i costi degli incendi anche ai proprietari delle case ignifughe. Fuori di metafora: per spezzare il circolo vizioso tra instabilità, Stati e banche sarebbe necessario che i salvataggi europei fossero condizionati all'esproprio delle banche salvate dal perimetro di competenza dei politici e delle autorità di vigilanza nazionali. Quello che invece oggi accade è che banche salvate grazie a finanziamenti europei possono continuare ad essere condizionate, sorvegliate, o addirittura gestite da quegli stessi soggetti nazionali che hanno avuta una responsabilità - diretta o indiretta, economica o politica - nei loro fallimenti.
Il rischio che l'Europa corre è quello di finanziare il consolidamento di mercati nazionali del credito e della finanza inefficienti. Con una ulteriore incognita: annacquare ulteriormente gli incentivi a contrastare le spinte alla frammentazione ed al protezionismo che sono già in atto. È questa la strada che dovrebbe portare l'Europa al più presto verso una completa Unione, prima bancaria e poi fiscale?


mercoledì 17 aprile 2013

Banche, timidi segni positivi: calano le sofferenze nette di 2,8 miliardi. Depositi su del 6,6%

Per una parte il Sole 24 Ore ci rassicura: si vedono timidi miglioramenti, che anche se poco, sono meglio di niente.

I dati del bollettino mensile dell'Abi fotografano il perdurare della crisi economica ma anche qualche timido segnale di miglioramento della congiuntura o, per lo meno, di rallentamento della tendenza negativa. A fine marzo 2013, i prestiti a famiglie e società non finanziarie sono infatti ammontati a circa 1.465 miliardi di euro, con una variazione annua di -2,3% (-2,6% a febbraio 2013; -1,9% nella media area euro a febbraio 2013). Se si considera «la disaggregazione per durata, si rileva come il segmento a breve termine (fino a 1 anno) abbia segnato una variazione annua di -1,4% (-3,8% a febbraio 2013), mentre quello a medio e lungo termine (oltre 1 anno) ha segnato una variazione di -2,7% (-2,2% a febbraio
2013)». L'andamento, si legge nel bollettino, é «in linea con l'evoluzione delle principali grandezze macroeconomiche (Pil e Investimenti)». In lieve calo a marzo peraltro i tassi di interesse sui nuovi mutui, scesi al 3,66% contro il 3,76% del mese precedente, che tornano ai valori dell'ottobre 2011. A marzo del 2012 era pari al 4,27%. Il tasso medio sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese è sceso al 3,40%. Il ribasso, secondo l'Abi, è dovuto alla diminuzione dello spread, oramai il tasso di riferimento per il costo del denaro applicato alle banche e quindi ai clienti. Prosegue a marzo la crescita dei depositi nelle banche italiane, senza risentire quindi della vicenda Cipro. Secondo il rapporto mensile dell'associazione bancaria italiana sono saliti del 6,59% contro il 7,18% di febbraio. Permane negativa la dinamica su base annua delle obbligazioni (-8,2%, con una riduzione su base mensile in valore assoluto di circa -10 miliardi di euro), mentre l'andamento su base annua della raccolta complessiva (depositi da clientela residente e obbligazioni) rimane positiva (+1,5%). Calano invece le sofferenze a febbraio. Secondo i dati dell'Abi resi noti oggi le sofferenze al netto delle svalutazioni sono risultate pari a quasi 62 miliardi di euro, circa 2,8 miliardi in meno rispetto al mese precedente e circa 13 in più miliardi rispetto a febbraio 2012 (+26,8% l'incremento annuo). Il rapporto sofferenze nette/impieghi totali, invece, si é collocato al 3,23% (3,38% a gennaio 2013 e 2,55% a febbraio 2012). Infine, il bollettino Abi registra un lieve rallentamento della discesa dei prestiti a famiglie e imprese da parte delle banche italiane, che restano comunque in deciso calo a causa "prevalentemente di un ribasso della domanda". Il ribasso è pari a -2,3% contro il -2,6% del mese precedente. Prossima allo zero la dinamica dei mutui (-0,8%)

martedì 9 aprile 2013

La manovra espansiva della Banca del Giappone divide il mondo. Ecco i pro e i contro

Leggevo sul Sole 24 Ore la condizione asiatica del Giappone. Ho pensato che poteva essere interessante da condividere con voi.


TOKYO - Gli investitori internazionali continuano a premiare - galvanizzando il Nikkei e deprimendo lo yen - la rivoluzione iper-espansiva della politica monetaria della Banca del Giappone, che pure sta creando profonde divisioni tra fautori, scettici e contrariati: al pieno "endorsement" arrivato dal Fondo Monetario Internazionale fanno riscontro gli autorevoli mugugni dell'agenzia di rating Moody's, al plauso di molti analisti pro-crescita o specializzati sul Sol levante fanno eco gli avvertimenti di guru di fama planetaria (da George Soros al re delle obbligazioni Bill Gross), mentre le autorità di altri
Paesi (dai dirimpettai asiatici Cina e Corea del Sud fino alla Germania) faticano a contenere la loro irritazione, anche se per ragioni non necessariamente coincidenti. Il cartellino giallo è stato alzato da Moody's, secondo cui gli effetti immediati saranno probabilmente transitori perché il mega-allentamento non risolve le questioni strutturali: il miglioramento delle prospettive a lungo dell'economia giapponese dipende piuttosto da miglioramenti di produttività (per i quali sono necessarie riforme sistemiche), mentre tanta abbondanza di stimoli monetari, in un Paese tanto indebitato, è rischiosa, perché se dovesse fallire nel promuovere la crescita o destabilizzare la funzionalità o la fiducia nel mercato dei titoli di stato, genererebbe un'impennata dei tassi reali con conseguenze disastrose. A una conferenza internazionale sull'isola cinese di Hainan, il numero uno dell'Fmi Christine Lagarde ha invece giustificato il suo appoggio all'estremismo della BoJ con una motivazione di interesse generale: «Le politiche monetarie, comprese quelle non convenzionali, hanno agevolato la ripresa delle economie avanzate e quindi la crescita globale: le riforme annunciate dalla Bank of Japan sono un altro "welcome step" in questa direzione», ha detto, aggiungendo solo che le politiche monetarie troveranno limiti nel continuare a fare la parte del leone in questi sforzi. Iniziativa benvenuta, dunque, dal punto di vista della crescita globale: è lo stesso argomento avanzato dal governo nipponico e con lo stesso sottinteso (se la Fed allarga i cordoni della Borsa in un Paese con un discreto tasso di crescita e di inflazione, non si capisce perché debba essere proibito a Tokyo, appena uscita dalla recessione e con una deflazione che dura da 15 anni). Alla stessa conferenza, era presente anche George Soros, che ha ribadito la sua posizione: si tratta di un esperimento rischioso perché l'enorme debito pubblico giapponese potrebbe diventare insostenibile se i tassi di interesse dovessero impennarsi. Anche ad altri esperti finanziari non piace che la banca centrale diventi una sorta di "Balena di Tokyo", ossia uno dei primi investitori nel mercato azionario (con più acquisti di Etf e Reit) oltre che il compratore del 75% dei bond pubblici di nuova emissione, con effetti distorsivi sia sulla Borsa sia sul mercato obbligazionario. Sempre al Boao Forum di Hainan, il presidente della Export-Import Bank of China Li Ruogu ha dato voce, sia pure intermini moderati, al disappunto cinese: pur evitando esplicitamente di usare il termine "guerre valutarie", ha detto che la BoJ potrebbe finire per innescare nel mondo un nuovo round di svalutazioni competitive senza peraltro risolvere in patria il problema della deflazione e del declino di competitività. A Pechino come a Seul e in altre capitali asiatiche, inoltre, si teme una distorsione nei flussi internazionali di capitali che potrebbe provocare surriscaldamenti finanziari e inflazionistici in varie economie emergenti. E naturalmente in Germania si teme l'effetto diseducativo sul resto dell'Europa, con la crescita delle pressioni per un allentamento della sua rigidità sulla questione del debito con qualche possibile conseguenza sugli atteggiamenti della stessa Banca centrale europea. In ogni caso, un euro troppo forte avrebbe effetti negativi sulla già declinante competività europea, specie quella dei Paesi già in difficoltà.

lunedì 25 marzo 2013

Il campanello dell'oro allarma i listini

A seguito degli effetti sull'Euro della crisi di Cipro, Il Sole 24 Ore presenta uno schema sulla situazione delle Borse globali.

Le Borse globali nell'ultima settimana hanno tenuto tutto sommato bene, malgrado i potenziali effetti dirompenti della crisi cipriota sull'euro – vedremo cosa accadrà da oggi in poi – e i dati macroeconomici contrastati e poco entusiasmanti che vengono da tutte le principali economie del mondo. Segno che l'enorme liquidità circolante sui mercati vede ancora, almeno per il momento, i listini come l'unico approccio possibile per ottenere un po' di rendimento, sia pure fra molti rischi. L'S&P 500 e il Dax, per esempio, sono assai vicini ai loro massimi assoluti, rispettivamente a 1.576 (ottobre 2007) e 8.151 (luglio 2007). Ma l'incertezza globale induce gli operatori alla prudenza e al rinvio degli acquisti, frenando un possibile allungo oltre i top storici.
D'altra parte c'è da chiedersi fino a quando potrà proseguire il decoupling fra listini azionari (positivi) e fondamentali economici (deboli). Non è una domanda da poco, perchè – anche se quasi tutti gli analisti di Borsa giudicano inevitabile, a breve, una correzione anche violenta – c'è da capire se il prossimo ribasso sarà una occasione di acquisto o l'inizio di una fase Orso di più lunga durata. Nelle ultime sedute anche l'oro, il bene rifugio per eccellenza, è stato comprato dai gestori in funzione di copertura dal rischio ed è tornato sopra i 1.600 dollari per oncia. E questo, come vedremo fra poco, è un segnale da guardare con attenzione. Ma andiamo con ordine. «Le ultime due settimane – ha osservato Neil Dwane, Cio Europe di Allianz Global Investors partecipando all'ultima tavola rotonda virtuale organizzata da www.ricercaefinanza.it – hanno dimostrato che il mercato è abbastanza resistente, nonostante le incertezze politiche. La liquidità a buon mercato, che è in attesa di opportunità di investimento, e le valutazioni favorevoli stanno portando a un aumento delle attività di fusione e acquisizione che sosterranno il mercato». In Europa, alla luce delle prossime decisioni (formazione di un Governo in Italia, sostenibilità del debito a Cipro) e dei top raggiunti sui mercati azionari internazionali, «sarà comunque possibile qualche presa di profitto. In ogni caso restiamo positivi sui titoli azionari ad alto rendimento e sulle small». Inoltre, aggiunge Thomas Bichler di Raiffeisen Cm, «attualmente troviamo più valore in Europa che in altri mercati sviluppati: alcune aziende europee hanno una valutazione del 40% in meno rispetto alle omologhe statunitensi, Quindi, in assenza di un collasso, l'equity europeo può guadagnare». Già, il collasso. Dell'economia o dell'euro, non importa. Comunque sarebbe drammatico. Tutti speriamo di evitarlo, ma la certezza che non accada nessuno può darla. E per questo il ragionamento torna, giocoforza, alle strategie di difesa e all'oro. «Lo terrei – pensa Monica Defend, responsabile Global asset allocation research di Pioneer Investment – più per correlazioni (bene rifugio e copertura da fiammate inflazionistiche/depressione) che non per i rendimenti attesi. Può anche rappresentare – assieme a Cina, valute e Nikkei – una "strategia satellite" per arricchire i contributi alla performance di un portafoglio». Francesco Caruso, analista tecnico indipendente e animatore del sito www.cicliemercati.it, sottolinea che «l'elettroencefalogramma dell'economia globale è piatto, ma le Borse restano l'unico asset con qualche potenzialità di rendimento». La cosa interessante, sottolinea ancora Caruso, «è però che il rapporto fra S&P 500 (espresso in punti e in dollari) e oro (espresso in dollari per oncia), da molti mesi sfavorevole all'indice azionario, si sta avvicinando alla parità». Se questa verrà superata, se cioè l'indice arriverà a valere più dell'oro, può essere un segnale di un nuovo "risk on" con conseguenti nuovi acquisti sul mercato azionario». Invece, conclude Caruso, «se il rapporto dovesse scendere sotto 0,90-0,89, allora potrebbero aprirsi problemi di non poco conto nel futuro dei listini».


lunedì 4 marzo 2013

Europa unita ma non per i mutui: in Italia i prestiti più costosi

Questo è quanto La Repubblica riporta riguardo i tassi di mutui e prestiti in Italia.

BOLOGNA - Le banche in Italia tengono i cordoni della borsa sempre più stretti e quando li allentano vogliono essere ben sicure di guadagnarci. Più che nel resto d'Europa. Stando agli ultimi dati della Banca centrale europea e della Banca d'Italia, i pochi fortunati che riescono a ottenere un mutuo trentennale di 100mila euro pagano mediamente una rata mensile di 515 euro (tasso del 4,64%), contro i 446 euro (tasso del 3,45%) di un francese, di un tedesco o di un qualsiasi altro cittadino dell'area euro. Calcolatrice alla mano, si tratta di 69 euro in più ogni mese e di 828 euro l'anno. Che in trent'anni diventano 24.840 euro, quasi un quarto dell'intera somma erogata. Tra i tassi applicati in Eurolandia e in Italia oggi c'è un differenziale di 119 punti, due anni fa era la metà (66), un anno fa meno di un terzo. Eppure la base da cui partono è sempre la stessa, ossia l'Euribor per i tassi variabili e l'Eurirs per i fissi. Su cui poi si aggiunge lo spread, ossia il guadagno della banca. "Gli istituti finanziari italiani approfittano dei tassi bassi, ai minimi storici, per applicare spread altissimi, guadagnando così cifre esorbitanti sui mutui, come sui prestiti" spiega Elio Lannutti di Adusbef, l'associazione di consumatori che ha elaborato i dati dal 2010 a oggi. "Arrivano ad applicare ai mutui a tasso variabili spread dal 2,7 al 4,50%, per i fissi si arriva anche al 5%. Aggiungendoci
i tassi Euribor o Eurirs, ecco che si raggiungono picchi del 4,50 per i variabili e del 6,8 per i fissi. Che si traduce in un vero e proprio salasso per i consumatori". E la situazione non migliora con i prestiti. In Italia mediamente il tasso applicato per il credito al consumo è di 150 punti base più alto della media europea. Quindi su un prestito di 30mila euro a 10 anni un italiano paga 357 euro al mese di rata (tasso al 7,56%) mentre un europeo 334 (al tasso del 6,04%), ben 23 euro in più al mese, 276 euro in più all’anno, che diventano 2.760 euro alla fine dei 10 anni, quasi il 10% dell'intera cifra richiesta.
In pratica la politica europea di rilancio dei consumi, con il taglio continuo del costo del denaro, viene inficiata da una politica al limite della speculazione del sistema bancario italiano. Una politica che da una parte tende a favorire chi i soldi (e le garanzie) già li ha e a scoraggiare chi non li ha dal chiederli. Un modus operandi che taglia fuori il Sistema Italia, come evidenziato anche dalle indagini della Commissione europea, dalla competizione dell’Europa a 27. C’è da chiedersi se a un certo punto le banche torneranno finalmente a fare il loro lavoro: prestare soldi a imprese e cittadini.

venerdì 8 febbraio 2013

Draghi: ripresa a fine 2013. Alle banche centrali più poteri di controllo

La Bce ha lasciato invariato allo 0,75% il tasso di rifinanziamento pronti contro termine. Il tasso sui depositi e il tasso marginale rimangono rispettivamente a quota zero e 1,50%. Ecco la sintesi dell'intervento del governatore della Bce Mario Draghi sui vari temi che ha toccato, dal super euro al ruolo delle banche centrali.

Inflazione

«L'inflazione si attesterà sotto il 2% nei prossimi mesi. La nostra politica resta accomodante».

Euro forte
Sul tema della guerra delle valute e sul super euro Draghi ha detto che l'attuale cambio dell'euro è vicino alla media di lungo periodo. «L'apprezzamento dell'euro è in una certa misura il segno di un ritorno di fiducia». Tuttavia la Bce «monitorerà attentamente» il suo impatto sull'inflazione. «Il cambio euro è importante ma non è obiettivo».

Bce indipendente

«La Bce è indipendente». Questa la risposta di Draghi, presidente della Bce, alle domande della stampa sull'ultima offensiva francese contro un eccessivo apprezzamento dell'euro portata avanti da ultimo dal presidente francese, Francois Hollande. «Vedremo - ha detto poi - come i mercati valuteranno le diverse dichiarazioni che vengono fatte su questo soggetto».

Più poteri alle banche centrali

«È importante che le banche centrali abbiano maggiori poteri di intervento, tra cui quello di rimuovere i top manager degli istituti di credito qualora necessario».

Ripresa economica
La debolezza economica dell'Eurozona «proseguirà nella prima parte del 2013, poi più tardi, grazie anche alla politica monetaria accomodante, dovrebbe iniziare un graduale miglioramento dell'economia. I governi continuino le riforme per la crescita».

Le politiche di consolidamento fiscale attuate nel recente passato dai governi dell'Eurozona «stanno dando frutti» in termini di «riduzione degli squilibri fiscali» e di riduzione del deficit. «I governi dovrebbero costruire su questi progressi in campo di consolidamento fiscale, rafforzando la competitività sul mercato dei servizi e riformando il mercato del lavoro » ha aggiunto Draghi, «ciò avrebbe effetti positivi sulla crescita, sull'occupazione e sulla capacità di aggiustamento».

Mercato interbancario

Le banche coinvolte nella prima iniziezione di liquidità della Bce (Ltro) «hanno già ripagato 140,6 miliardi, una scelta che è a discrezione» degli istituti e che quindi «riflette un miglioramento della fiducia» del settore finanziario.

mercoledì 30 gennaio 2013

«Attenti, i bund cominciano a scottare»

Una riflessione della banca d'affari americana Goldman Sachs sul Sole 24 Ore.

Nel 2012 il reddito fisso ha dato grandi soddisfazioni agli investitori, sia nella sua componente corporate che nel segmento dei bond governativi. Con il 2013 i risultati non saranno altrettanto brillanti, tuttavia una performance del 3-3,5% per entrambe le classi di obbligazioni è un obiettivo realistico e raggiungibile». Francesco Garzarelli, specialista del reddito fisso della banca d'affari americana Goldman Sachs mette in guardia da aspettative eccessivamente ottimistiche sulle prospettive dei mercati obbligazionari globali. Tuttavia tende ad escludere un tracollo delle quotazioni, che si verificherebbe soltanto nel caso di un deciso aumento dei tassi di interesse a livello globale. «E' possibile fare delle previsioni a lungo termine sui tassi di interesse interpolando i valori attuali sulle diverse scadenze. Ebbene, il mercato, in questo momento sconta un ritorno dei tassi di interesse a breve termine verso soglie fisiologiche del 3% non prima del 2023. Questo significa che nonostante i bassi rendimenti offerti, le quotazioni dei titoli sono destinate a rimanere stabili molto a lungo», sottolinea lo strategist. Molte cose sono cambiate in dodici mesi nel profilo di rischio e rendimento del mercato obbligazionario. «Quelli che lo scorso anno sono stati i titoli più ricercati dagli investitori, i Bund tedeschi e le emissioni degli altri paesi europei ad alta sicurezza, nel 2013 saranno i bond meno interessanti e più pericolosi, sicuramente da sottopesare nei portafogli a reddito fisso», prevede Garzarelli. I rendimenti su queste emissioni sono infatti praticamente nulli fino alla scadenza a tre anni e risalgono fino a un modesto 1,6% per le durate decennali. Tuttavia nel giro di poche settimane il Bund a 5 anni è passato inaspettatamente da un rendimento di 30 centesimi a una cedola di 60. «Questo significa che sta venendo meno la corsa alle emissioni ad altissima sicurezza e che un aumento anche modesto dei rendimenti è in grado di far crollare le quotazioni», sottolinea Garzarelli. La visione di Goldman Sachs è particolarmente negativa per quanto riguarda i titoli governativi emessi dagli altri paesi «core» dell'eurozona, a cominciare da Francia, Belgio e Austria. Paesi che più della Germania sono esposti a problemi di bilancio che potrebbero danneggiarne la reputazione, il rating e, quindi, anche le quotazioni delle obbligazioni già emesse. In cima alle preferenze della grande banca d'affari statunitense ci sono invece i titoli governativi dei paesi ad alto indebitamento che sono stati al centro della crisi del debito sovrano nell'anno appena chiuso. «Continuiamo a preferire le emissioni di Italia e Spagna, il cui rendimento del 4-5% per le scadenze dieci anni non trova eguale nei paesi più avanzati. In particolare riteniamo che ci sia più valore nelle emissioni iberiche, visto che i bond italiani hanno già recuperato molte posizioni», precisa Garzarelli. Un quadro «misto», infine caratterizza le aspettative di rendimento sulle obbligazioni societarie. I corporate bond vengono da una performance media dell'11% nel 2012 e certamente non potranno replicare questi risultati nell'anno appena iniziato.«Ormai gli spazi di guadagno più interessanti si limitano ad alcuni specifici settori, come le banche e in generale i finanziari, e alle emissioni un po' più rischiose, con rating tripla B», sottolinea lo strategist. I corporate bond con valutazione di rischio doppia e singola A, i cosiddetti investment grade di alta qualità offrono ormai spread di rendimento irrisori rispetto alle obbligazioni governative e in alcuni casi hanno addirittura rendimenti inferiori», nota lo strategist. Sempre nell'ambito delle emissioni societarie, infine, luce verde ai titoli high yield, ad alto rischio ma anche ad alto rendimento. «La ripresa delle attività di fusione e acquisizione e il miglioramento della congiuntura internazionale favoriranno questa classe di titoli, i cui rendimenti medi potrebbero raggiungere nel 2013 il 4,5%», conclude Garzarelli.

venerdì 25 gennaio 2013

L'Europa si aggrappa al Sudamerica

Stamattina morningstar.it presenta un profilo molto interessante sul destino di molte grandi aziende europee. Leggete.

Una delle strade che l’Europa segue per uscire dalla crisi sembra portare in America latina. A dicembre il Parlamento europeo ha ratificato accordi di libero commercio con otto paesi dell’area Latam. E’ solo l’ultimo esempio di come il Vecchio continente faccia affidamento sulla regione emergente americana per trovare una soluzione ai suoi problemi.

Un aiuto dal Latam

Va detto che, storicamente, l’Europa ha sempre avuto grandi legami con quella zona, a partire dal periodo della colonizzazione. Negli anni ’90 del secolo scorso, poi, le aziende europee hanno iniziato a investire in maniera pesante in Sudamerica diventandone il secondo partner commerciale dopo gli Stati Uniti. Oggi tuttavia, la strategia è in parte diversa. Molte aziende europee, soprattutto quelle degli stati cosiddetti periferici, stanno cercando di tamponare i problemi che hanno a casa attraverso alcune operazioni commerciali con l’America latina. Alcune stanno disinvestendo una parte dei loro asset in quella parte del mondo per raccogliere i capitali necessari a sostenere l’attività domestica, mentre le più forti hanno scelto la strada dell’espansione nella zona Latam attraverso l’apertura di nuove filiali o investendo in società locali per cercare di sfruttare le prospettive di crescita. L’ultimo rapporto dell’Onu sulle prospettive economiche mondiali parla di un progresso della zona del 3,9% nel 2013 e del 4,4% l’anno prossimo. Si tratta di una revisione al ribasso rispetto alle stime di giugno scorso che prevedevano un + 4,4% per quest’anno e un +4,7% nel 2014. Ma sono comunque tassi di tutto rispetto, soprattutto se confrontati con la situazione di recessione che sta attraversando il Vecchio continente.
Fra coloro che stanno smobilitando ci sono l’italiana Impregilo, che sta vendendo la sua quota (19%) in un gestore autostradale brasiliano per incassare 765 milioni di euro e dare un po’ di ossigeno alle casse societarie. La francese Carrefour (numero due al mondo nella grande distribuzione), intanto, a ottobre dell’anno scorso ha ceduto per 2,5 miliardi di dollari le sue attività in Colombia. Chi, invece, si sta aggrappando ancora di più al Sudamerica per uscire dal baratro della crisi è la Spagna che, nel 2011, ha investito in aziende targate Latam quasi 20 miliardi di dollari. “In questa situazione tutti ci guadagnano”, spiega uno studio della società di consulenza Thomas White International. “L’accordo ratificato dal Parlamento europeo, ad esempio, darà una spinta alle esportazioni di beni di lusso, auto e prodotti chimici verso il Sudamerica, ma consentirà a stati come la Colombia e il Perù di incrementare il commercio di prodotti minerali e agricoli verso il Vecchio continente. Il tutto con notevoli risparmi sui dazi doganali per tutte le parti coinvolte i cui risultati si vedranno nel prossimo decennio”.

Nel breve occhio alle urne
Nel frattempo gli operatori europei studiano la situazione di breve periodo e si preparano alle elezioni in Italia e in Germania. La seconda lettura dei prezzi al consumo europei di dicembre ha confermato la prima stima a +2,2% anno su anno, con una variazione mese su mese che si è attestata a +0,4%, contro il -0,2% di novembre. L’inflazione core (cioè al netto di energia e alimentari) è aumentata di un decimo di punto a +1,5% rispetto al 2011. Gli ordini industriali italiani a novembre sono calati di mezzo punto percentuale. Positivo l’indice tedesco Zew, che monitora il sentiment di investitori e analisti. Nella rilevazione di gennaio la componente del dato relativa alle aspettative è salita ai massimi degli ultimi due anni e mezzo, aumentando di quasi 25 punti a dicembre (a quota 31,5, massimo incremento degli ultimi 11 mesi) e battendo decisamente le stime di consensus (12). Quasi ferma invece la componente relativa alla situazione corrente. In sostanza, l’indice segnala che l’economia tedesca dovrebbe accelerare nella seconda parte dell’anno, dopo una fase di stagnazione in questi mesi.
“La debolezza economica dell’Eurozona non sembra al momento destare eccessive preoccupazioni, poiché ci si aspetta una fase di ripresa (anche se modesta) a partire dal secondo semestre 2013, che dovrebbe trasformarsi in crescita effettiva nel 2014”, spiega una nota di Banca Intermobiliare. “A nostro avviso è troppo presto per immaginare uno scenario concreto per l’Eurozona nel 2014, dal momento che gli appuntamenti elettorali in Italia e Germania potrebbero, di fatto, portare  a dei cambiamenti se in Italia si arrivasse ad una alleanza stabile tra Monti e il centrosinistra ed in Germania l’attuale cancelliere, Angela Merkel, fosse costretto alla coabitazione al governo con la Spd. I mercati anticipano in questo momento uno scenario che incorpora, almeno in parte, una serie di sviluppi positivi dell’economia reale. Queste evoluzioni, tuttavia, attendono una conferma che potrà arrivare solo nel quarto trimestre, dopo le elezioni in Germania”

giovedì 20 dicembre 2012

Forse la crisi fa meno paura. Borse su, Spread giù, euro ai massimi.

Si legge sul Sole 24 Ore - Lo spread Btp/Bund che scende sotto quota 300, ignorando le tensioni nella politica italiana. Le borse che guadagnano. S&P che alza il rating alla Grecia. Gli Usa che procedono spediti verso un accorso sul Fiscal Cliff. L'avvio dell'Unione bancaria europea. E ancora: l'euro che torna a quota 1,32, toccando i massimi da maggio. Tokyo che supera i 10mila punti chiudendo a +2,39%: non accadeva da marzo. E il premier italiano Mario Monti, che nel corso del sul viaggio in Asia, dichiara: «in Europa la crisi va verso la fine».
Poi ci sono i dati macroeconomici. Due esempi di giornata: in Germania sale l'Indice Ifo delle imprese. In Spagna quello degli ordinativi all'industria di ottobre, che fa segnare, a sorpresa, un +5,2%. E l'elenco potrebbe andare avanti. In questo scenario c'è una domanda ricorrente: si può davvero parlare della fine della crisi finanziaria?

  La crisi finanziaria è finita?
«Da qualche mese – spiega Stefano Manzocchi, docente di economia e finanza internazionale all'Università Luiss di Roma e direttore del "Luiss Lab of European Economics" – gli analisti finanziari sembrano attribuire una probabilità elevata all'ipotesi che si stia uscendo, pur con le normali oscillazioni dei mercati, dalla crisi finanziaria. L'elemento decisivo alla base di questo è stato l'attitudine della Bce, ed in particolare la capacità di Draghi di dare sostanza all'affermazione che l'Europa farà di tutto per salvare l'Euro».