mercoledì 24 aprile 2013

Banche pubbliche: i rischi per la Ue

Dal Sole 24 Ore:

La mano pubblica si prende l'ennesima banca, questa volta in Grecia. L'aumento delle nazionalizzazioni bancarie non è una buona notizia.
Quanto il perimetro della banca pubblica si allarga in un Paese con bassa efficienza delle regole e delle istituzioni - come la Grecia, ma anche l'Italia - i rischi di creare un focolaio di inefficienza e corruzione sono alti.
Ma quando il fenomeno della nazionalizzazione bancaria riguarda una intera area di scambio, come è l'Unione Europea, i rischi sono ancora maggiori: al crescere dei legami in ciascuna nazione tra banche, politici e supervisori nazionali, tanto più si può rendere difficile e non credibile il cammino verso l'Unione Bancaria.
La notizia che la banca greca Eurobank finirà sotto il controllo statale, essendo fallito il tentativo di privatizzarla, rappresenta solo l'ultimo capitolo del libro delle nuove nazionalizzazioni bancarie, che si è iniziato a scrivere nei paesi avanzati fin dai primi passi della Grande Crisi e che verosimilmente potrà arricchirsi di nuove puntate, se il combinato disposto di recessione e cattivo disegno dell'intervento pubblico, statale ed europeo, continuerà. Le nuove nazionalizzazioni bancarie seguono un copione ben preciso. Il primo passo è la crisi, conclamata o temuta , di una o più banche rilevanti. Il concetto di rilevante ha ricevuto negli ultimi anni una sensibile estensione. Prima della Grande Crisi la definizione di banca rilevante coincideva con quella di grande banca; oggi la dimensione, la complessità e l'interconnessione presente nei mercati finanziari porta a considerare rilevanti tutti quegli intermediari il cui fallimento è potenzialmente in grado di innescare il cosiddetto effetto contagio. Il contagio si materializza attraverso una diffusa crisi di fiducia nella capacità delle banche di onorare i propri debiti. Poiché i debiti delle banche sono nei portafogli di tutti i cittadini, la crisi di fiducia affonda il sistema bancario nel suo complesso, produce una distruzione di ricchezza profonda e generalizzata, prima finanziaria e poi economica. Il più recente esempio: Si pensi a quello che è successo, poteva e può ancora succedere a Cipro.
In una situazione di questo tipo lo Stato deve intervenire, provando a disinnescare il detonatore del contagio prima che si producano gli effetti tossici. Al di là delle specifiche tecniche utilizzate, il meccanismo di fondo è sempre lo stesso: lo Stato assume su di sé l'onere dei debiti. Quindi il costo del disinnesco cade alla fine sui contribuenti. E' evidente che lo Stato diviene il pompiere che deve spegnere i focolai pericolosi, per evitare incendi più dannosi. Ma come evitare che la presenza di un pompiere pubblico non causi formidabili distorsioni nei comportamenti di chi con il fuoco ci lavora, cioè tutti quegli agenti privati che gestiscono, e/o finanziano e/o utilizzano le banche ?
Da qui due chiare indicazioni di politica economica e delle regole. Innanzitutto ,chiunque abbia a che fare con il fuoco deve sapere che ci si può scottare, con bruciature ed ustioni variabili a seconda del tipo di rapporto che li lega alla banca. In secondo luogo, l'intervento del pompiere deve essere non programmabile - non tutti gli incendi meritano di essere spenti - e temporaneo - il pompiere spegne l'incendio al meglio e poi riconsegna i diritti di proprietà e gestione dei beni a chi è ancora disposto a pagare un prezzo per averli.
Ma quanto questi due principi sono oggi realizzabili in Europa? Innanzitutto sappiamo che spesso i pompieri sono anche dei piromani, per almeno due ragioni. Da un lato le crisi bancarie possono nascere perché i meccanismi del credito sono inquinati dalla politica, o mal sorvegliati dalle autorità di vigilanza, o dal combinato disposto di questi due fattori. Dall'altro lato, le banche possono diventare instabili perché nel loro portafoglio c'è una quota rilevante di titoli pubblici, in un Stato caratterizzato da rischio insolvenza. In entrambi i casi, l'intervento del pompiere rischia quindi di non essere né imprevedibile né temporaneo. Dunque, la probabilità che ci siano nuovi incendi non si riduce; anzi, aumenta.
Ma c'è di più. In Europa i pompieri possono continuare a fare i piromani, facendo pagare i costi degli incendi anche ai proprietari delle case ignifughe. Fuori di metafora: per spezzare il circolo vizioso tra instabilità, Stati e banche sarebbe necessario che i salvataggi europei fossero condizionati all'esproprio delle banche salvate dal perimetro di competenza dei politici e delle autorità di vigilanza nazionali. Quello che invece oggi accade è che banche salvate grazie a finanziamenti europei possono continuare ad essere condizionate, sorvegliate, o addirittura gestite da quegli stessi soggetti nazionali che hanno avuta una responsabilità - diretta o indiretta, economica o politica - nei loro fallimenti.
Il rischio che l'Europa corre è quello di finanziare il consolidamento di mercati nazionali del credito e della finanza inefficienti. Con una ulteriore incognita: annacquare ulteriormente gli incentivi a contrastare le spinte alla frammentazione ed al protezionismo che sono già in atto. È questa la strada che dovrebbe portare l'Europa al più presto verso una completa Unione, prima bancaria e poi fiscale?


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