martedì 9 aprile 2013

La manovra espansiva della Banca del Giappone divide il mondo. Ecco i pro e i contro

Leggevo sul Sole 24 Ore la condizione asiatica del Giappone. Ho pensato che poteva essere interessante da condividere con voi.


TOKYO - Gli investitori internazionali continuano a premiare - galvanizzando il Nikkei e deprimendo lo yen - la rivoluzione iper-espansiva della politica monetaria della Banca del Giappone, che pure sta creando profonde divisioni tra fautori, scettici e contrariati: al pieno "endorsement" arrivato dal Fondo Monetario Internazionale fanno riscontro gli autorevoli mugugni dell'agenzia di rating Moody's, al plauso di molti analisti pro-crescita o specializzati sul Sol levante fanno eco gli avvertimenti di guru di fama planetaria (da George Soros al re delle obbligazioni Bill Gross), mentre le autorità di altri
Paesi (dai dirimpettai asiatici Cina e Corea del Sud fino alla Germania) faticano a contenere la loro irritazione, anche se per ragioni non necessariamente coincidenti. Il cartellino giallo è stato alzato da Moody's, secondo cui gli effetti immediati saranno probabilmente transitori perché il mega-allentamento non risolve le questioni strutturali: il miglioramento delle prospettive a lungo dell'economia giapponese dipende piuttosto da miglioramenti di produttività (per i quali sono necessarie riforme sistemiche), mentre tanta abbondanza di stimoli monetari, in un Paese tanto indebitato, è rischiosa, perché se dovesse fallire nel promuovere la crescita o destabilizzare la funzionalità o la fiducia nel mercato dei titoli di stato, genererebbe un'impennata dei tassi reali con conseguenze disastrose. A una conferenza internazionale sull'isola cinese di Hainan, il numero uno dell'Fmi Christine Lagarde ha invece giustificato il suo appoggio all'estremismo della BoJ con una motivazione di interesse generale: «Le politiche monetarie, comprese quelle non convenzionali, hanno agevolato la ripresa delle economie avanzate e quindi la crescita globale: le riforme annunciate dalla Bank of Japan sono un altro "welcome step" in questa direzione», ha detto, aggiungendo solo che le politiche monetarie troveranno limiti nel continuare a fare la parte del leone in questi sforzi. Iniziativa benvenuta, dunque, dal punto di vista della crescita globale: è lo stesso argomento avanzato dal governo nipponico e con lo stesso sottinteso (se la Fed allarga i cordoni della Borsa in un Paese con un discreto tasso di crescita e di inflazione, non si capisce perché debba essere proibito a Tokyo, appena uscita dalla recessione e con una deflazione che dura da 15 anni). Alla stessa conferenza, era presente anche George Soros, che ha ribadito la sua posizione: si tratta di un esperimento rischioso perché l'enorme debito pubblico giapponese potrebbe diventare insostenibile se i tassi di interesse dovessero impennarsi. Anche ad altri esperti finanziari non piace che la banca centrale diventi una sorta di "Balena di Tokyo", ossia uno dei primi investitori nel mercato azionario (con più acquisti di Etf e Reit) oltre che il compratore del 75% dei bond pubblici di nuova emissione, con effetti distorsivi sia sulla Borsa sia sul mercato obbligazionario. Sempre al Boao Forum di Hainan, il presidente della Export-Import Bank of China Li Ruogu ha dato voce, sia pure intermini moderati, al disappunto cinese: pur evitando esplicitamente di usare il termine "guerre valutarie", ha detto che la BoJ potrebbe finire per innescare nel mondo un nuovo round di svalutazioni competitive senza peraltro risolvere in patria il problema della deflazione e del declino di competitività. A Pechino come a Seul e in altre capitali asiatiche, inoltre, si teme una distorsione nei flussi internazionali di capitali che potrebbe provocare surriscaldamenti finanziari e inflazionistici in varie economie emergenti. E naturalmente in Germania si teme l'effetto diseducativo sul resto dell'Europa, con la crescita delle pressioni per un allentamento della sua rigidità sulla questione del debito con qualche possibile conseguenza sugli atteggiamenti della stessa Banca centrale europea. In ogni caso, un euro troppo forte avrebbe effetti negativi sulla già declinante competività europea, specie quella dei Paesi già in difficoltà.

Nessun commento:

Posta un commento