"La quiete prima di un’altra tempesta: così potrebbe descriversi il clima nell’Ungheria tra la micidiale crisi economica del 2008, un inaspettato mitigarsi e l’affiorare dei segnali di una nuova recrudescenza. L’effetto più eloquente della crisi ungherese è stata la contrazione della produzione industriale: a novembre 2008 è caduta del 9,9%, mentre solo un mese più tardi è precipitata a meno 23,3% rispetto ad un anno prima. E’ il dato peggiore dal 1991. Impressionante il capovolgimento della bilancia commerciale, passata da un attivo di 109 milioni di euro nel novembre 2007 ad un passivo di 73 milioni di euro nel dicembre 2008. L’economia si contrae: il prodotto interno lordo (Pil) ha perso il 7,5% nel secondo trimestre 2009 rispetto allo stesso periodo del 2008. Nell’ottobre 2008 l’ex primo ministro socialista Ferenc Gyurcsàny ha ottenuto dal Fondo monetario internazionale (Fmi) la concessione di un prestito biennale di 25 miliardi di dollari. Insieme all’Ucraina, l’Ungheria è l’economia dell’Europa centro-orientale che ha avuto più bisogno del soccorso internazionale. Il credito del Fmi è la plateale sconfessione dell’ondivaga politica del primo ministro, che al momento della sua rielezione nel 2006 aveva promesso “riforme senza austerità”. Ma ben presto si è verificato l’opposto: l’austerità, per aderire all’euro, ma senza le riforme. L’obiettivo del prestito Fmi era duplice: alleggerire il peso dello Stato nell’economia e ridurre il conseguente debito pubblico. Lo stato controlla ancora circa il 30% dell’economia magiara. Con la finanziaria 2010 il nuovo primo ministro socialista György Gordon Bajnai ha annunciato tagli alla spesa sociale per circa 370 miliardi di euro in due anni per fermare la crescita del deficit pubblico. Un’economia che non produce più ricchezza e un settore pubblico che continua a divorare la scarsa ricchezza residua. La chiave di volta resta il credito e la politica monetaria. Nell’ottobre scorso la banca centrale di Budapest decide un’unica manovra di ben tre punti di rialzo sui tassi di interesse per difendere il fiorino in svalutazione del 10%. Il colpo di grazia per gli investimenti e l’industria in agonia può giustificarsi con l’obiettivo di salvaguardare il credito che le banche dell’Europa occidentale hanno investito generosamente in Ungheria per incassare i risparmi locali e investirli nelle “tigri” dell’Europa orientale per spremere profitti. La crisi ha interrotto questo circuito tra speculazione privata e sviluppo sociale. Ma non ha intaccato l’indirizzo “filo-bancario” della politica monetaria. Infatti lo scorso 25 agosto la banca centrale ungherese ha limato i tassi di interesse interbancari di mezzo punto percentuale. Ma gli analisti attendono ulteriori tagli. A Budapest il sole ritorna a splendere per il paradosso di uno Stato che chiude i cordoni della spesa grazie al finanziamento del Fmi, salvo poi ridare liquidità alle banche straniere che praticamente controllano le imprese nazionali. L’Ungheria ha un altissimo numero di banche (circa 300), ma anche una percentuale altrettanto alta di concentrazioni bancarie straniere. La scommessa, o l’obbligo, di salvare le banche salvando il resto dell’economia sembra persa. Il credito del Fmi è una coperta troppo corta per Governo, banche, imprese e cittadini. Infatti l’effetto positivo rischia di svanire presto. Inizia a scarseggiare di nuovo il credito. Il cash-flow ritorna un’incognita sia per le aziende che per i risparmiatori. E’ la dimostrazione che aver privilegiato la tutela del settore bancario ha lasciato gli altri soggetti in serie difficoltà. Ma un’economia avvitata nella crisi compromette anche la salute delle banche. Nel secondo trimestre 2009 i consumi interni sono diminuiti del 4,7%, l’output industriale è crollato del 19,3% e l’agricoltura, che aveva retto l’economia nei momenti più cupi della crisi, è crollata del 21,7%. Ecco perché il cielo sopra Budapest promette temporali ben peggiori."
(opinione.it(
giovedì 24 settembre 2009
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