
La pesante svalutazione di Borsa del titolo Intesa Sanpaolo è stata d'altronde alla base della controversa decisione del Credit Agricole di vincolare il suo pacchetto (5,4%) a quello delle Generali (5%). Il "patto di consultazione" (un accordo parasociale particolarmente leggero) ha consentito al gruppo francese di mantenere la qualifica di "stabile, strategica" alla sua quota, evitando l'intero abbattimento del valore in bilancio (1 miliardi di euro). L'Antitrust italiano ha però eccepito di non poter accogliere nessuna deroga al piano approvato tre anni fa, quando fu decisa la fusione fra Intesa e Sanpaolo. Allora il Credit Agricole (non del tutto favorevole) fu "risarcito" con la cessione del gruppo CariParma, obbligandosi tuttavia a non aver più alcuna voce in capitolo in Intesa-Sanpaolo. Anche le Generali, dal canto loro, soffrirono una limitazione nella portata dalla loro alleanza "bancassicurativa" (distribuzione di prodotti assicurativi e di risparmio) presso l'intera rete Intesa. Il gruppo (che in passato era stato sempre governato da patti di sindacati rigidi, guidati da Bazoli) era così rimasto una "public company", con un solido presidio di fondazioni italiane (Cariplo, Sanpaolo, Cassa Padova, Cassa Bologna, Cassa Firenze) forti oggi del 25% circa della banca, ma senza collegamenti organici tra loro o con il gruppo Zaleski (che ha il un altro 5%). Sull'altro versante, Generali manteneva la sua posizione mista e l'Agricole la sua distinta situazione di "investitore finanziario".” (Il Sussidiario)
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