giovedì 7 maggio 2009

Cesare Geronzi, Alessandro Profumo e la manovra bancaria che ha rivoluzionato il panorama finanziario e politico

Cesare Geronzi ed Enrico Cuccia
Articolo interessante di Panorama trovato mentre cercavo in emeroteca un po' di materiale per la tesi.

"Fusioni bancarie: di che colore è Unicredito-Capitalia?

Sette giorni per sciogliere i nodi più importanti (il prezzo, le poltrone, le alleanze, gli effetti dominanti sul controllo di Mediobanca e Generali), firmare e spedire gli inviti alle nozze dell’anno. La fusione tra Unicredito e Capitalia ha un termine-obiettivo, sabato 27 maggio: in pochi giorni i rispettivi leader Alessandro Profumo e Cesare Geronzi proveranno a chiudere la manovra bancaria destinata a rivoluzionare il panorama finanziario italiano e a scompaginare il quadro politico. Prima che la controffensiva, più o meno palese, mandi tutto all’aria: il consenso attorno all’operazione è talmente elevato, bipartisan e istituzionale da risultare sospetto.
L’agenda ipotizzata nei colloqui fra i due gruppi permetterebbe al governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, di presentarsi all’assemblea annuale del 31 maggio sbandierando l’unione che più d’ogni altra sembra rispondere alla sua esortazione a superare campanilismi e personalismi, per consolidare un sistema che è assai debole rispetto all’avanzata straniera, ma che invece si dimostra straordinariamente influente sulla politica economica di casa nostra.
Di qui il primo banco di prova: la nuova superbanca di che colore sarà? La chiave di interpretazione corrente la descrive come la risposta di Massimo D’Alema allo strapotere dell’Intesa Sanpaolo, il gruppo creato da Giovanni Bazoli e attraverso il quale il premier Romano Prodi ha finora monopolizzato le più importanti partite economiche. Del vicepremier e presidente dei Ds sono note amicizie e frequentazioni con Alessandro Profumo e Cesare Geronzi. Quest’ultimo ha lavorato non poco per smontare (senza romperlo) l’abbraccio mediatico di Silvio Berlusconi, che due anni fa lo battezzò come l’unico banchiere non di sinistra e che ancora oggi è presente con la Fininvest nel patto di sindacato della banca romana.
Lo smarrimento diessino negli affari, accentuato con l’unione ulivista tra Intesa e Sanpaolo, celebrata a scapito dell’ultima roccaforte rossa rappresentata dal Monte dei Paschi, è fonte di depressione per i notabili del partito, estromessi dai giochi sul riassetto delle infrastrutture primarie del Paese: autostrade, telecomunicazioni, reti d’energia, aerei e aeroporti. Guai a perdere del tutto la presa sui centri nevralgici del potere: Mediobanca, Generali, Rcs MediaGroup (che controlla il Corriere della sera).
Così D’Alema negli ultimi mesi ha esplorato convergenze, facendo visita allo stesso Bazoli e intensificato i rapporti con gli uomini di punta del gruppo di francesi alleati di Cesare Geronzi nei santuari della finanza: Tarak Ben Ammar e Vincent Bolloré, amico del nuovo presidente Nicolas Sarkozy. Contatti che gli verranno buoni se Profumo troverà la via per riprendere il dossier Société Générale accantonato di fronte alle pretese transalpine di avere sede e presidenza esecutiva.
Tuttavia, la teoria del nuovo cappello dalemiano sul risiko, otto anni dopo il famoso incontro con Enrico Cuccia (in casa dell’imprenditore Alfio Marchini, anch’egli socio stabile della Capitalia), non convince Bruno Tabacci, deputato dell’Udc, profondo conoscitore degli intrecci con la finanza. “Macché contromossa, non ci credo. Profumo non è uno che fa politica, è un signore che fa operazioni di mercato: avrà fatto bene i suoi conti”.
Frase sibillina se si pensa al timore di investitori e analisti che sulle logiche industriali prevalgano quelle politiche per sistemare la Capitalia in mani amiche e ridisegnare gli equilibri di potere sulla Mediobanca e, a cascata, sulle Generali, che a loro volta sono azioniste e alleate del concorrente Intesa Sanpaolo. “No, le aziende non fanno più operazioni in funzione della politica” insiste Tabacci “semmai è la politica che si adegua per fare da mosca cocchiera. Certo, c’è il problema Mediobanca, ma non credo che verranno meno alla linea di autonomia dell’istituto, penso che faranno un passo indietro”.
La sede dell'Unicredito
Su questo aspetto si concentra la contraerea: Unicredito e Capitalia fondendosi arriveranno ad avere il 18 per cento di Mediobanca e quasi il 20 per cento di Generali e il 17 per cento del mercato bancario domestico. Dalla lettera del patto della banca d’affari è però esclusa la sommatoria delle due partecipazioni, fior di giuristi sono pronti a riaffermarlo: l’Unicredito-Capitalia peserà per il 9 per cento, l’altro 9 dovrà essere ceduto.
Già, ma a chi? La quota fa gola soprattutto all’Intesa Sanpaolo e la misura dell’interesse sta nella fretta e nella frequenza delle smentite. Gridare alla minaccia del monoblocco Uni-Capitalia che governerà incontrastato Mediobanca e Generali rafforza la possibilità che alla fine si proceda alla spartizione delle azioni in eccesso e amplifica la forza contrattuale di chi verrà chiamato in “soccorso” per ribilanciare le leve del potere.
Il punto è ben chiaro a Cesare Geronzi, che il Financial Times definì “power broker”: il mandato di advisor per la fusione affidato a Claudio Costamagna è la classica carambola al tavolo da biliardo. Con l’ex manager della Goldman Sachs, Cesare Geronzi rassicura Prodi (di cui è uno dei più ascoltati collaboratori) e al tempo stesso rimarca le distanze da Bazoli (scottato dai tentennamenti del consulente sull’affare Mittel).
Non solo, Costamagna parla la lingua dei mercati, che piace tanto a Profumo, e ha la visione americana di Draghi, con cui ha diviso anni di esperienza nella potente banca d’affari a stelle e strisce. Rimane il versante francese, che (forse l’elemento più comico e drammatico insieme) difende a spada tratta l’”italianité” e ha immediatamente messo le mani avanti sull’indipendenza di Capitalia e Mediobanca. Un modo per alzare la contropartita: se l’alleato Santander conquisterà i possedimenti italiani dell’Abn Amro, Vincent Bolloré, azionista forte della Mediobanca, potrà far leva sul controllo dell’Antonveneta e sul 9 per cento di Capitalia.
Il più esperto tra i banchieri italiani conosce tattiche e strategie dei francesi. Saprà gestirla ancora? La palla è sui piedi dell’acquirente: Profumo i conti li ha fatti, se vuole crescere in Italia non resta che una strada, un’offerta pubblica d’acquisto sulla Capitalia. La prima volta ci provò il 20 marzo 1999, voleva la Comit (oggi inglobata in Intesa Sanpaolo), fu stoppato da Antonio Fazio che non era stato preavvertito. In Banca d’Italia adesso c’è Draghi, che non pretende nemmeno una telefonata: è già pronto col disco verde."
(da Panorama)

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