martedì 29 settembre 2009

Fusioni: dismissioni di interesse

Riporto questo articolo da Morningstart:

"Matrimoni d’interesse o meglio dismissioni di interesse: si possono descrivere così le fusioni avvenute nell’industria del risparmio gestito mondiale da inizio anno. Mentre in passato dietro queste operazioni c’era l’esigenza di accrescere le economie di scala e diversificare le proprie attività, oggi la maggior parte delle unioni nasce dalla necessità dei grandi gruppi finanziari di cedere rami di business per rimettere in sesto i bilanci.

Non fa eccezione l’acquisto di Barclays Global Investor da parte di BlackRock, che è stata la più grande operazione (13,5 miliardi di dollari) nell’industria del risparmio gestito nel 2009. Ma si potrebbero citare altri casi in Europa, tra i quali il matrimonio tra Société Générale e Crédit Agricole. In Italia, dove il governatore Mario Draghi ha più volte suggerito alle banche di vendere le società di gestione per garantire maggior indipendenza, si è parlato spesso negli ultimi giorni della cessione di Banca Fideuram (gruppo Intesa Sanpaolo) a Exor, la holding del gruppo Agnelli, e a due fondi di private equity. E Unicredit non ha mai negato la disponibilità a passare di mano una quota della sua partecipazione in Pioneer Investments. E’ in vendita anche Arca, mentre è in dirittura d’arrivo la fusione tra Anima e Bipiemme Gestioni (quest’ultima, però, è un’operazione che fa storia a sé, dal momento che è stata la sgr della Popolare di Milano a lanciare l’offerta). Monte Paschi, invece, ha già fatto la sua scelta, cedendo il controllo di Prima Sgr a Clessidra.

Nonostante questo fermento a livello globale, i volumi delle fusioni e acquisizioni nell’industria del gestito si sono ridotti di circa un terzo rispetto a un anno fa. Secondo Greggory Warren, analista azionario di Morningstar, difficilmente assisteremo a grandi operazioni tra le società quotate nei prossimi mesi. Quello che manca, secondo lui, non è il desiderio di alcuni grandi player di ampliare la gamma dei prodotti, ma la corrispondenza tra quanto i venditori pensano che le loro aziende valgano e quanto i compratori sono disposti a pagare. Questa discrasia è dovuta principalmente al fatto che molti gruppi bancari stanno cedendo i loro rami di asset management per cui è difficile per le società di gestione “pure” spuntare buoni prezzi nel caso siano oggetto di interesse da parte di qualche predatore.

La questione però può essere anche valutata da un altro punto di vista. E’ vero, le dismissioni rappresentano una necessità per gli istituti di credito (azionisti), colpiti profondamente dalla crisi e costretti a rimanere entro determinati vincoli patrimoniali. Ma è anche vero che gli asset manager indipendenti (pochi quelli italiani) possono approfittare di questa fase per fare acquisti impossibili in passato.

Se a prevalere sarà l’esigenza di dismettere asset che non sono più ritenuti strategici, l’industria del risparmio sarà più fragile; al contrario, se l’attuale consolidamento servirà per accrescere le economie di scala, ampliare e diversificare il giro d’affari delle società di gestione, il settore ne trarrà un beneficio. A patto di non far fuggire i “cervelli”, un rischio che in questo comparto, dove conta il talento del gestore, è sempre altissimo. "
(Sara Silano)

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